Violenza di genere, Princi: ‘Non servono nuove leggi. In Calabria presto lo psicologo scolastico’

"Occorre puntare su approcci didattici e metodologici che mirino al potenziamento dell'autostima degli studenti", le parole di Giusi Princi

Giuseppina Princi

“Con il presidente Occhiuto, d’intesa con l’Ordine degli psicologi della Calabria, stiamo lavorando da mesi su un progetto sperimentale che prevede l’inserimento a scuola della figura dello psicologo scolastico che possa affiancare il personale docente e le famiglie nell’affrontare questioni complesse legate all’educazione, all’affettività dei ragazzi, supportando l’istituzione nella creazione di un ambiente in cui il rispetto reciproco sia un principio fondante nella promozione dello sviluppo della personalità dei ragazzi.

La presenza costante in tutte le scuole di figure professionali potrebbe aiutare a prevenire anche quelle forme di disagio che sfuggono ai genitori e ai docenti ma che poi si manifestano, per esempio, con comportamenti violenti che possono arrivare, nelle modalità estreme, al bullismo, al cyber-bullismo e al femminicidio”.

É quanto afferma la vice presidente della Giunta della Regione Calabria con delega al ramo, Giusi Princi, che affronta il dibattito in corso con una riflessione più completa, anche in relazione ai recenti episodi di femminicidio.

“In queste ore viene acclamata dalla politica bipartisan la proposta di legge relativa all’introduzione dell’ora di affettività, come se questa soluzione rappresentasse davvero la panacea del grave problema della violenza di genere che affligge la nostra società. I nostri studenti, specie quelli delle scuole superiori, sono però già oberati da un orario curriculare fitto di incombenze, tra cui educazione civica, orientamento, Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento), per cui ulteriori disegni di legge con carichi di lavoro aggiuntivi, potrebbero compromettere la totale efficacia dell’insegnamento che è il presupposto della formazione valoriale dei ragazzi.

Percorsi diversi concentrati in uno già ridotto monte ore scolastico, rischiano, infatti, di ridurre i tempi, già esigui, dedicati allo studio dell’italiano, della filosofia, del latino.., rischiano cioè di svilire la vera essenza dei percorsi di apprendimento che trovano, invece, nello studio dei classici, della letteratura, la base dello sviluppo psico- emotivo dei ragazzi.

Non sono necessarie nuove leggi, non è necessario sovraccaricare ulteriormente l’orario curriculare. Le soluzioni dirette e immediate ci sarebbero: è stato già da qualche anno istituito l’insegnamento di educazione civica all’interno del quale potrebbero integrarsi moduli specifici che interessano l’affettività, la violenza di genere, il potenziamento dell’autostima, sia dei ragazzi che delle ragazze, la promozione dell’uguaglianza di genere, il coinvolgimento degli studenti in attività di comunità e la consapevolezza valoriale.

Provengo dal mondo della scuola, l’ho vissuto pienamente e oggi, in qualità di delegata all’istruzione, continuo ad indirizzare la mia attività sulla centralità ed il benessere degli studenti, per cui mi sento particolarmente colpita e coinvolta dal recente fatto di cronaca legato al femminicidio della giovane studentessa veneta.

È innegabile che la scuola rivesta un ruolo cruciale nella formazione non solo intellettuale, ma anche umana degli studenti. In tal senso, però, la questione dell’educazione all’affettività non può prescindere dalla necessità di mettere al centro lo studente come persona a tutto tondo. Occorrerebbe puntare su approcci didattici e metodologici che mirino al potenziamento dell’autostima degli studenti, che promuovano il rispetto reciproco all’interno dell’ambiente scolastico.

Sarebbe opportuno, ad esempio, non concentrarsi esclusivamente su un’idea di valore espressa da un voto, ma incoraggiare un approccio più costruttivo della valutazione, tale da evidenziare le potenzialità degli studenti in un processo che li aiuti a comprendere che il fallimento in un compito non implica una svalutazione della loro persona.

Oggi viviamo un’alienazione sociale e una disperazione individuale che, se non controllati, potrebbero portare a lacerazioni più profonde del tessuto sociale. Una società che è sempre più individualista e che porta a una sempre minore disponibilità alla solidarietà e ad una maggiore competitività.

Ben venga che la scuola si attivi, apra varchi di riflessioni, intercetti situazioni di disagio, ma non si può pensare che ad essa spetti tutta la responsabilità della formazione e della ‘cura’ delle fragilità dei nostri ragazzi, è necessaria una soluzione integrata, in cui convergano l’educazione familiare e la sensibilizzazione fin dalla prima infanzia.

È la famiglia il primo posto in cui si impara a conoscere e riconoscere nell’altro, a negoziare i punti di vista, a differire la gratificazione dei bisogni, a porgere la mano a chi è in difficoltà, a condividere, a collaborare, a rispettare, a sentirsi accolti in bisogni vedendoli soddisfatti e a sentirsi contenuti di fronte all’insoddisfazione degli stessi per imparare a tollerare il vuoto e la frustrazione. Emozioni e sentimenti si esperiscono, principalmente, nelle relazioni primarie e con gli adulti più significativi, per poi essere generalizzate in tutte le altre situazioni sociali.

Distratti come siamo oggi da bisogni secondari, non essenziali, siamo portati ad assecondare, essere troppo permissivi verso i nostri figli e non prestare la giusta attenzione e, quindi, non favorire lo sviluppo dell’empatia che, soprattutto nei figli maschi, bloccherebbe sul nascere la violenza. È fondamentale il ruolo dell’educazione all’affettività fin dalla prima infanzia, poiché queste prime fasi della vita costituiscono la base su cui si sviluppa la comprensione delle emozioni, delle relazioni e dei valori fondamentali dell’umanità”, rimarca infine la vicepresidente Princi.