Ultramobile – Il simbolo del Riflusso: la Ritmo

Simbolo degli anni '80, la Ritmo era gioventù, divertimento, il mezzo per andare al lavoro e a ballare, in montagna e al mare


Oggi è il 16 marzo, ed è inevitabile ripensare a ciò che accadde 41 anni fa, in via Fani. Aldo Moro veniva sequestrato, e gli Anni di Piombo arrivavano al culmine, al picco più buio.

Tuttavia, qualcosa stava per cambiare, come ampiamente raccontato in un libro di ottima qualità, come Dancing Days, uscito nel 2009, scritto da Paolo Morando.

Sotto la spinta creativa di Gianni Bomcompagni, la Fiat lanciava una berlina compatta che sarebbe stata molto più di una semplice automobile: la Ritmo.

Il nome venne deciso da Boncompagni stesso, allora consulente esterno Fiat, più influente di chiunque altro sulle scelte di comunicazione del Lingotto, pesante già dal nome e da sempre sofferente della Sindrome Sabauda, che vorrebbe boiserie e specchi ovunque, regole militari e rigore tanto di immagine quanto limitato, al limite del kitsch per effetto contrario.

Al di là delle tipicità torinesi, la Ritmo è stata l’automobile che ha trainato fuori l’Italia dalla paura, dalle stragi, dalla strategia della tensione prima maniera.
Insomma, il peggio doveva ancora venire, ma sono le prospettive a contare di più, in tutto.

Doveva ancora esplodere la bomba che non importa sia fascista o di qualsiasi altra nostalgia, alla Stazione di Bologna, e dovevano ancora incrociarsi Mig libici e aerei francesi nei cieli di Ustica, tirando giù tutti i passeggeri del DC9 Itavia (con annessa esplosione, anche lì, per essere sicuri).

Insomma, un momento drammatico per la democrazia simbolica del Paese, ma caratterizzato dai primi segnali di una ripresa che sarebbe stata alla base dello yuppiesmo anni ’80.

La Ritmo era la concorrente N.1 della Volkswagen Golf, disegnata da Giugiaro, ma era meno convincente.
O meglio: era più moderna e stramba, come si conviene a qualcosa che debba essere una sorta di caramella. Aveva le maniglie rotonde, come i divanetti delle disco di allora, vere cattedrali e vere antesignane dei social.

Aveva i fari incastonati nei paraurti, come quelli di certe berline americane, e ricordava un po’ la AMC Pacer, assente in Italia, se non nelle basi di Napoli e Aviano…

La Ritmo aveva colori già in vena di anniottantismo, arancione a parte, ancora molto settantesco e apprezzato in Germania, dove si era in altre faccende affaccendati, e dove Moroder, un italiano, dettava le nuove tendenze musicali.

Fa specie pensare che l’Italia tanto abbia dato alla Germania, dallo stile automobilistico alla musica, perché vorrei sottolineare, ancora una volta, che la Golf fosse un progetto italianissimo, di Giorgetto Giugiaro.
Capace di trainare la Volkswagen fuori dal baratro, da una morte certa e tutt’altro che lenta.

Cos’aveva, comunque, la Ritmo? Tanta plastica dentro, fuori e tutto intorno.

Presentata su un falso piano, ingigantita come la Liù degli Alunni del Sole, trionfatori al Festivalbar ’78.
La Ritmo era gioventù, divertimento, il mezzo per andare al lavoro e a ballare, in montagna e al mare.

Era poco austera, perché non voleva più la pulizia stilistica della 128, e voleva essere una Due volumi, per essere in linea con la moda di allora, così ostile alla berline con la coda.

Era l’automobile dei trentenni, ma anche l’automobile di Vasco Rossi, che girava ancora per le balere di Modena e dell’Emilia, tra la Festa dell’Unità, i tortellini e le luci avveniristiche del Picchio Rosso, dove potevi trovare Tina Turner o Barry White, a cantare dal vivo.

La Ritmo è stata la ritrovata voglia di viaggiare, di uscire di casa, dal guscio, di socializzare di nuovo.
Nessuno di noi sa cosa siano stati gli anni Settanta, ormai riposti per sempre nel cassetto, per sempre perduti e destinati all’oblio eterno perché già ripescati e ritrattati varie volte, a partire dal sarcasmo senza senso di Tommaso Labranca, fino agli show di Claudio Baglioni e Fabio Fazio.

Ora siamo in pieno revival anni ’90, con gli ’80 che non mollano e perseverano.
Abbiamo rimosso tutto, e delle stragi non ci preoccupiamo più, perché anche i parenti sono morti.
Perché anche Gianni Boncompagni è morto, e rimane solo il suo ricordo negli auricolari di Ambra e di “Non è la Rai”.

Abbiamo perso anche la stessa spinta di allora, forse, perché allora si osava molto di più, anche in un Paese, l’Italia, tenuto sotto scacco dalle massonerie, alle quali piacerebbe molto svegliarsi di nuovo oggi, e dagli stessi poteri forti che non si facevano grossi problemi nemmeno a far fuori artisti come Rino Gaetano, manomettendo freni e ospedali.

Le Ritmo sono quasi tutte rottamate, e non c’è stato bisogno di rottamatori, picconatori o altro.
Rimane soltanto, in qualche giovane vecchio o in qualche giovane di allora, l’immagine di un simbolo dell’Italia Precedente.

Un’Italia peggiore, ma con più prospettive.