Spirlì: ‘Non devo chiedere scusa a nessuno. Certe parole si dicono anche tra amici’
"Non si può vietare agli italiani di usare il dizionario, vale per 'ricchione' e tutti gli altri termini". Il vicepresidente della Regione Calabria si difende così
04 Ottobre 2020 - 18:24 | Comunicato
“Devo chiedere scusa a qualcuno per le mie parole? Assolutamente no, dovrei riceverle io le scuse” perché “io sto solo dicendo che ci sono parole che vanno tutte quante tutelate, usarle è a discrezione delle persone, ma non si può vietare agli italiani di usare il dizionario, vale per ‘ricchione’ e tutti gli altri termini”.
Lo dice all’AdnKronos il vicepresidente leghista della Regione Calabria, Nino Spirlì, assessore alla Cultura della Giunta Santelli, riferendosi alle polemiche per aver rivendicato termini, come ‘ricchione’, ‘negro’ e ‘zingaro’, parlando anche di ‘lobby frocia’, durante un convegno della Lega a Catania, venerdì scorso.
“Difendo il diritto di dire tutte le parole anche se poi non le dico”, dice l’intellettuale calabrese, mentre entra nella zona del Tribunale a Catania, dove si trova per dare la sua solidarietà a Salvini, in vista del processo per il caso Gregoretti. E all’Anpi, alle associazioni pro Lgbt, alla sinistra che lo attacca, chiedendone la rimozione dagli incarichi istituzionali, non intende cedere, parlando anzi di ‘accuse di regime’.
“Siamo di fronte a una trappola – replica – si vuole cancellare parte della cultura italiana, le parole possono avere anche un significato pesante, ma è una cosa discrezionale, compete alla persona. Altrimenti si arriva a un dizionario che permette l’utilizzo di solo 200 parole, quelle che piacciono al regime”.
Il vicepresidente della Regione Calabria prosegue:
“Se mi dicono ‘ricchione’ non lo sento dispregiativo, se me lo dicono in maniera tranquilla, tra amici capita spesso, per gioco, di dirselo, ‘ricchio’, come stai?’, magari tra eterosessuali, il problema non è la parola, ma l’intenzione, l’eventuale violenza”. “È come dire che gli spaghetti alla puttanesca non si possono fare, perché si offendono le prostitute”, prova a spiegare Spirlì, con una metafora gastronomica.
“Non possiamo rinunciare a una parte della nostra identità, la lingua è il massimo strumento di identità di un popolo”, ribadisce. E a chi chiede, come i Cinque Stelle in Calabria, le sue dimissioni replica così: “Loro dovrebbero trovare un bell’inginocchiatoio e chiedere scusa agli italiani per quello che hanno promesso e non hanno ottenuto, pensassero alle rogne che hanno in casa, non a me”.
“Spirlì non è un povero demente che si sveglia al mattino e dice quattro cazzate, delle parole io – conclude – ne ho fatto una professione, sono stato pagato per questo”.
Fonte: Andkronos