Salute mentale e i suoi disturbi: la sindrome di Münchhausen

I soggetti fingono sintomi fisici e/o psichichi. Alla base di questo comportamento c'è il desiderio di accudimento. L'approfondimento dell'Istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria

Il Barone di Münchhausen, il cui nome completo era Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen, fu un militare aristocratico tedesco, conosciuto per i suoi inverosimili racconti di vita, talmente fantasiosi, incredibili e grotteschi da aver persino ispirato Rudolf Erich Raspe nella stesura del romanzo Le avventure del barone di Münchhausen.

Nel 1951 in un articolo su Lancet, Richard Asher descrive per la prima volta una patologia in questi termini:

“Come il famoso Barone di Münchhausen, le persone colpite hanno sempre viaggiato molto e le loro storie, come quelle a lui attribuite sono sia drammatiche che non veritiere. Di conseguenza, la sindrome è rispettosamente dedicata al barone e da lui prende il nome”.

Da allora l’espressione sindrome di Münchhausen (scritto comunemente anche Münchausen con una singola h) è utilizzata per descrivere quello che nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali è chiamato disturbo fittizio, sebbene il termine sindrome di Münchhausen sia più che altro utilizzato per le forme più gravi del disturbo.

La categoria del disturbo fittizio viene inserita dal DSM 5 TR nella sezione dedicata ai disturbi da sintomi somatici e consiste nel “ … produrre o simulare deliberatamente sintomi fisici o psichici con lo scopo di assumere il ruolo di malato in assenza di incentivi esterni, fino al punto in cui l’obiettivo principale diventa l’ospedalizzazione”.

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Gli elementi caratteristici del disturbo sono: – Atteggiamenti aggressivi o evasivi. – Storia clinica attuale sconvolgente ma non convincente. – Fascicoli pieni di visite ospedaliere. – Numerosi accessi in ospedali o ricoveri. – Richieste continue di farmaci. – Poco rispetto delle regole dei reparti. – Atteggiamento ambivalente verso medici o altro personale sanitario.

I soggetti fingono sintomi fisici che possono riguardare qualsiasi organo, esponendosi anche a notevoli rischi per la salute. Le modalità con cui i sintomi possono essere prodotti sono varie (sanguinamenti autoindotti, manipolazione dei termometri, produzione di lesioni cutanee, vomito autoindotto). I sintomi psichici invece possono andare dalla finzione di sintomi isterici, all’ansia, alle allucinazioni, fino a propositi suicidari.

Tali finti sintomi possono essere incoerenti fra di loro e spesso non correlati a precise categorie diagnostiche.

Il soggetto con questo disturbo è conscio dell’inganno e dei pericoli a cui si espone ma non riesce ad astenersi dal fingere i sintomi poiché alla base di tale comportamento c’è il desiderio di accudimento e di attenzioni che si accompagna probabilmente ad altri meccanismi inconsci, fra cui il bisogno di controllo e il piacere di sottoporsi ad interventi di tipo medico. Tale condizione va tuttavia distinta dalla “simulazione” ove l’autoinduzione di sintomi è motivata da chiari vantaggi esterni (certificazioni, pensioni…).

Alla fine degli anni 70 il pediatra Roy Meadow introdusse il termine di sindrome di Münchausen per procura per indicare i genitori che falsificavano segni e sintomi sui propri figli con lo scopo di sottoporli a numerosi esami e ricoveri ospedalieri. Tale sottocategoria, oggi indicata come “disturbo fittizio provocato ad altri”, è stata inserita nel DSM assieme al disturbo fittizio classico, oggi indicato come “disturbo fittizio provocato a sé”.

Ovviamente, la diagnosi del disturbo fittizio non è semplice; i vari aspetti sopracitati vanno considerati allo scopo di captare eventuali campanelli d’allarme, utili all’individuazione della condizione clinica, dopo esclusione necessaria delle patologie internistiche spesso lamentate. Altrettanto complesso è il trattamento che non prevede soltanto una terapia farmacologica ma anche interventi psicologici e psico-educazionali che mirino ad un approccio di equipe.

La sindrome di Münchhausen rappresenta una sfida complessa sia per i pazienti che per i professionisti della salute mentale. L’approccio clinico multidisciplinare è fondamentale per affrontare questa condizione e offrire un supporto adeguato, allo scopo di garantire diagnosi tempestive e trattamenti più efficaci.