Salute mentale, il disturbo dipendente di personalità: l’identikit del paziente

L'approfondimento dell'esperta dott.ssa Iannuzzo dell'istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria

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O ἄνθρωπος φύσει πολιτικoν ζῷον (l’uomo è per natura un animale sociale) sono parole che risuonano sin dal IV secolo a.C. quando il filosofo Aristotele spiegava uno dei caratteri propri dell’essere umano: il suo bisogno di confronto e di rapporto con l’altro.

Come ricordato da G. O. Gabbard, una vera “indipendenza” dall’altro non è né possibile né auspicabile, data l’importanza della presenza altrui, affinché vengano messe in atto alcune funzioni (empatia, validazione, ammirazione) utili alla costruzione della nostra individualità, della nostra autostima e delle nostre capacità relazionali. Tuttavia, talvolta, la relazione con l’alterità può assumere sfaccettature patologiche, configurandosi come caratteristica di un disturbo psichiatrico. Per tale ragione, la categoria del disturbo dipendente di personalità ha a che fare con una dipendenza dall’altro talmente estrema da entrare nel patologico. In una fase della vita in cui indipendenza e autonomia costituiscono la base di un normale funzionamento globale, infatti, la necessità eccessiva di accudimento e di supporto diventano il sintomo di un mal funzionamento.

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Il disturbo dipendente di personalità si caratterizza per la presenza di un eccessivo bisogno di essere curati, fino alla sottomissione e all’attaccamento morboso con le persone che sono più vicine al soggetto. L’eccessiva necessità di essere accuditi conduce questi individui ad una perdita dell’autostima e dell’autonomia, fino alla totale sottomissione. Essi richiedono continue rassicurazioni e necessitano di consigli anche per banali decisioni della vita quotidiana fino a determinare un’esistenza decisa dagli altri.

Il meccanismo della sottomissione viene perpetrato con modalità costante, al punto che tali individui non riescono mai ad ottenere una completa indipendenza tendendo ad evitare compiti che richiedono responsabilità. Pur di ottenere sostegno e assistenza i pazienti con disturbo dipendente di personalità potrebbero essere disposti a sottoporsi a richieste spiacevoli, o a tollerare abusi. Di solito, tendono a interagire con un piccolo gruppo di individui, soprattutto con coloro da cui dipendono. Quando un rapporto stretto termina, cercano prontamente un nuovo sostituto che possa prendersi cura di loro, spesso facendo questa scelta in modo affrettato e poco ponderato
Nonostante l’apparente semplicità del disturbo dipendente di personalità, questi individui possono assumere una vasta gamma di comportamenti.

A volte assumono atteggiamenti passivo-aggressivi che consistono nel fare ostruzionismo senza opporsi apertamente per il timore di perdere la benevolenza altrui; tendono ad esempio ad accettare compiti che non vogliono svolgere e di cui si lamentano, compromettendoli o sabotandoli in un secondo momento. Altre volte invece assumono comportamenti remissivo- depressivi oppure comportamenti ossessivo-aggressivi.

Tale disturbo pare avere una prevalenza analoga nei due sessi, sebbene venga diagnosticato più frequentemente nelle donne e presenta frequenti comorbidità con altre malattie psichiatriche, fra cui disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbo da abuso di sostanze e altri disturbi della personalità. Per quanto riguarda le cause che sottendono lo strutturarsi del disturbo, modesta influenza esercitano le componenti genetiche, mentre maggiore rilievo hanno i fattori ambientali quali un attaccamento insicuro e/o un atteggiamento genitoriale di rinforzo alla dipendenza, atteggiamento, ad esempio, correlato al concetto di indipendenza piena di pericoli.

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Interventi terapeutici

La terapia del disturbo prevede principalmente interventi psicoterapeutici; i trattamenti farmacologici invece sono utili nelle comorbidità psichiatriche sopra riportate.

La psicoterapia dovrebbe essere orientata al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

  • Autonomia del paziente nelle scelte e nella gestione della propria vita;
  • Sviluppo di competenze socio-relazionali;
  • Raggiungimento di una indipendenza affettiva e comportamentale.

Le terapie brevi sono da preferire ai lunghi percorsi che potrebbero generare comportamenti di dipendenza dal terapeuta. Questi pazienti infatti spesso riversano nel terapeuta il bisogno di sostegno e di accudimento, chiedendo disponibilità costante e sedute aggiuntive. Nell’ambito della terapia, inoltre, vanno tenute in grande considerazione le condizioni culturali. In alcuni contesti ambientali, per esempio, atteggiamenti di dipendenza non sono solo ritenuti normali ma possono addirittura essere considerati “attesi”. Altro indirizzo terapeutico può essere la terapia familiare nel caso in cui l’autonomia del paziente è condizionata dall’organizzazione e dai vissuti all’interno del sistema familiare.