La salute mentale e i suoi disturbi. Cattivi si nasce o si diventa?

I vari tipi di disturbo e la loro origine. L'approfondimento da parte del prof. Zoccali

Il termine cattivo ha origine dalla locuzione latina captivus diaboli “ prigioniero del diavolo” e in senso morale, secondo l’Enciclopedia Treccani, sta a significare “malvagio, perverso, disposto al male” e quindi entriamo nella dimensione umana del soggetto criminale/antisociale. In premessa dobbiamo distinguere tra uno specifico “crimine , atto “antisociale”, e atto “deviante”.

Per crimine si intende un’azione commessa in violazione di una norma di legge di diritto penale e prevede una condanna in forma di detenzione. Per atto antisociale facciamo riferimento ad un’azione contro le istituzioni sociali, contro i principi su cui si regge la società umana e tale azione non è sempre prevista dal codice penale.

Per atto deviante si intende un comportamento che confligge con le norme etiche rilevanti e dominanti di una collettività e quindi è oggetto di valutazione negativa da parte del gruppo sociale a cui il soggetto appartiene. Ovviamente è necessario distinguere tra il singolo atto criminale, antisociale e deviante, dal comportamento criminale, antisociale e deviante che è espressione di uno stile di vita, di una modalità ridondante di essere nel mondo.

I vari tipi di disturbo

Per quanto riguarda il rapporto tra il soggetto “criminale” e il soggetto con “disturbo antisociale di personalità”, quest’ultimo è parzialmente sovrapponibile al primo, tanto che la maggior parte dei detenuti (65-75%) incontra i criteri diagnostici di tale disturbo come riportato nel DSM 5 ( Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali); ovviamente tali percentuali devono essere prese in considerazione con una certa cautela dal momento che, all’interno di questi tassi, potrebbero esserci soggetti innocenti, o soggetti che potrebbero aver compiuto un singolo delitto senza essere criminali.

Comunque, sempre con una certa cautela di valutazione, nel Disturbo antisociale, oltre ad essere presenti comportamenti diretti contro le norme sociali, contro la persona ecc, i soggetti devono presentare impulsività, irritabilità, aggressività e mancanza di rimorso e quindi è alta la probabilità che in questi individui sia presente, in misura dimensionale, una disposizione rivolta verso il male in chiave morale. Il problema che da anni è oggetto di continuo dibattito è quanto la disposizione verso il male sia correlato alla genetica e quindi alla neurobiologia e quanto, di contro, sia sotteso dall’ambiente, dall’esperienza legata alle relazioni familiari, sociali e alla cultura.

Certamente una separazione tra le due componenti nel determinare la disposizione verso il male non è possibile, il cervello ha una estrema plasticità e, anche se il neurosviluppo è programmato dai geni, gli eventi esperienziali giocano un ruolo fondante nella strutturazione dei circuiti che comunque si modificano lungo l’arco della vita. Tuttavia l’argomento induce alcune riflessioni in quanto, tutt’oggi, il significato che viene data alla singola componente (natura /cultura), condiziona la lettura degli eventi sociali e le norme che regolano la nostra società in continua evoluzione.

Certamente oggi nei confronti della componente genetica sussiste un pregiudizio che si potrebbe considerare legittimo, dal momento che è passato poco tempo dal nefasto dramma determinato dal nazismo e dalla assurda idea della selezione della razza sottesa dall’eugenetica, termine introdotto da Francis Galton ( 1822-1911), cugino di Darwin, che aveva suggerito di favorire l’evoluzione dell’uomo inducendo le persone meno valide di procreare.

Scrive Steven Pinker: “Nel giro di qualche decennio furono promulgate leggi sulla sterilizzazione coatta di delinquenti e deboli di mente in Canada, nei paesi scandinavi, in trenta Stati americani, e sinistramente, in Germania. Più tardi l’ideologia nazista sulle classi inferiori sarebbe stata usata per giustificare lo sterminio di milioni di ebrei, zingari e omosessuali”.

Oggi, le neuroscienze, messo da parete ogni pregiudizio ideologico e influenza storica, sta dando spazio legittimo ad entrambe le componenti natura e cultura. L’interazione di entrambe è alla base del comportamento umano ma una volta che il processo del neurosviluppo si è completato ci dobbiamo chiedere quanto una struttura neurobiologica sia suscettibile a ristrutturarsi preso atto che studi sui gemelli e sulle famiglie ha condotto al riscontro di una ereditabilità della psicopatia del 70% circa.

Un ‘cattivo’ può diventare buono?

Scrive Patricia S. Churchland in ‘Neurobiologia della morale’: “I soggetti psicopatici, benché sappiano quanto sia socialmente importante manifestare rimorso in un’aula di tribunale, di fatto non lo provano, nemmeno quando sono stati causa di terrore mutilazione e morte. Gli psicopatici sono persone che possono apparire brillanti e piacevoli in un contesto sociale, ma sono in realtà prive di coscienza e tendono a non formare forti attaccamenti”.

Possiamo adesso chiederci: quanto un “cattivo” può riabilitarsi e diventare buono? I cervelli degli psicopatici sono diversi nelle aree che regolano le emozioni, gli impulsi e le relazioni sociali, facciamo riferimento alle regioni paralimbiche quali l’amigdala e le aree dell’ippocampo e alle aree corticali in particolare la corteccia orbito frontale e purtroppo al momento attuale, un processo riabilitativo adeguato non esiste.