Salute mentale e i suoi disturbi. Intrappolati nella rete: la dipendenza da internet

Il primo passo è riconoscere l'esistenza del problema, per poter avviare qualsiasi tipologia di approccio terapeutico. L'approfondimento della psichiatra Valentina Clementi

“Nell’era digitale la tecnologia ha contaminato ogni ambito della vita: molte delle attività quotidiane vengono plasmate dall’ibridazione digitale e le connessioni virtuali si stanno sempre più imponendo come mezzo di interazione sociale. Le statistiche hanno stimato  che a Gennaio 2024 il numero di utenti internet nel mondo è stato di 5.35 miliardi, pari al 66.2% della popolazione mondiale totale, in Italia 51.56 milioni di persone (87.7% della popolazione totale).

L’ormai dilagante fenomeno digitale è però da osservare secondo due differenti e opposti punti di vista. Ai tanti aspetti positivi che il web ha apportato alla quotidianità, si associano anche connotazioni negative; per una minoranza di individui la rete può rappresentare un pericolo e determinare lo sviluppo di una vera e propria forma di dipendenza.

La dipendenza da internet

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Il fenomeno della dipendenza da Internet è stato descritto per la prima volta a metà degli anni Novanta e, sebbene ad oggi non esista una definizione formalmente accettata, può essere descritto come un utilizzo intensivo e ossessivo di Internet con la necessità di rimanere connessi alla rete per periodi di tempo sempre maggiori.  I sintomi sono rappresentati da ansia, irritabilità, aggressività, e irrequietezza nei momenti di disconnessione, e incapacità di interrompere i collegamenti web nonostante le conseguenze negative in ambito sociale (problemi familiari e coniugali, problemi lavorativi), psicologico (ansia e depressione) e fisico (mal di schiena, mal di testa, aumento o perdita di peso, sindrome del tunnel carpale, alterazioni della vista, disturbi del sonno).

Tuttavia è riduttivo considerare la dipendenza da Internet come un’entità singola, poiché Internet è fondamentalmente un portale attraverso il quale si può accedere a molteplici attività e servizi; in tale ottica è, quindi, più corretto andare a considerare sottocategorie più specifiche di dipendenza fra cui l’uso di social media, la dipendenza da sesso virtuale o da relazioni virtuali, il gioco d’azzardo online, lo shopping compulsivo online, la dipendenza da sovraccarico cognitivo e la dipendenza da gaming online. Quest’ultima è l’unica condizione ufficialmente inserita e codificata nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM 5-TR).

Da un punto di vista epidemiologico le stime si assestano intorno al 5-6% della popolazione generale ed è  possibile evidenziare la presenza di fattori strettamente correlati alla dipendenza da Internet quali un’età più giovane, il genere maschile e un’esposizione precoce all’utilizzo della tecnologia.

Le cause alla base della dipendenza da Internet sono di tipo complesso e multifattoriale (fattori di predisposizione biologico-genetici, psicologici e socio-ambientali). Dal punto di vista neurobiologico, un ruolo di rilievo è svolto dalla presenza di disfunzioni dei sistemi della dopamina e della serotonina associate ad un’eccessiva attivazione dei circuiti cerebrali della ricompensa. Ai fattori biologici si associano fattori psicologici rappresentati da aspetti personologici come la tendenza all’introversione, la bassa autostima e la marcata sensitività interpersonale, e fattori socio-ambientali come la disattenzione da parte dei caregiver o la presenza di eventi di vita sfavorevoli.

Il trattamento della dipendenza da Internet presuppone differenti modalità di intervento. Ovviamente, il primo passo è riconoscere l’esistenza del problema, momento fondamentale per poter avviare qualsiasi tipologia di approccio terapeutico.

La terapia farmacologia prevede l’impiego di molecole abitualmente utilizzate nella cura dei disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo e del controllo degli impulsi, dei disturbi da uso di sostanze e dei disturbi dell’umore, in particolare il bupropione, l’escitalopram e il metilfenidato, che  agendo sui livelli dei neurotrasmettitori dopamina, noradrenalina e serotonina, si sono dimostrate efficaci nel ridurre la sintomatologia e nel controllo del craving.

Tra gli approcci psicoterapeutici quello cognitivocomportamentale (CBT) ha dimostrato la maggiore efficacia, mirando a ridurre, attraverso diverse strategie, il tempo trascorso on line oltre a individuare e correggere eventuali distorsioni cognitive. È possibile, inoltre, considerare l’utilizzo di una terapia familiare nei casi in cui la dipendenza abbia coinvolto negativamente anche la famiglia, in modo tale da consentire ai membri del nucleo familiare di essere co-protagonisti del cambiamento e supportare la motivazione del soggetto ad affrontare e risolvere la dipendenza. Infine, nei casi in cui mancasse una adeguata rete di sostegno, è ipotizzabile fare ricorso a gruppi di supporto come ulteriore modalità integrativa di approccio, nell’ottica di strutturare un trattamento multimodale ritagliato sulla complessità del soggetto e del caso specifico”.

di Valentina Clementi psichiatra – articolo richiesto dall’istituto di neuroscienze di Reggio Calabria