Autismo a Reggio, mamma Angela: 'C'è tanta ignoranza, delusa dall'amministrazione'

La storia di Mamma Angela e del figlio Matteo nella rubrica curata dalla dott.ssa Maria Laura Falduto

Una consueta giornata ambulatoriale al centro Ace di Pellaro si trasforma in una straordinaria occasione di incontro.

Per la nostra rubrica ‘Uno sguardo sul sociale‘ ascoltiamo e accogliamo il racconto di una mamma, madre di un bambino di 11 anni che per essere riconosciuto come Persona deve lottare per i propri diritti e la propria dignità di vita. Il volto di questa mamma esprime determinazione, caparbietà tanta voglia di fare e di aiutare altre famiglie nonostante la stanchezza mista a delusione. Lo sguardo di questa mamma si fa carico di un’impresa che va avanti da oltre dieci anni quando si accorse che, già da piccolissimo, qualcosa nello sviluppo di Matteo non procedeva seguendo le normali tappe di sviluppo.

Il nome che diamo a questa voce è quello di Angela Villani, un cognome che spesso viene omesso, come lei stessa sottolinea:

“A volte mi dimentico di avere un nome e un cognome, una mia storia; ormai per la società, per le istituzioni, per la scuola, sono la mamma di Matteo”.

Parole forti che restituiscono immediatamente l’immagine di come la vita di un genitore che vive con la disabilità sia completamente assorbita, identificata alla stessa. Una identità che riveste più ruoli contemporaneamente, quello di infermiere, di terapista, di mediatore, di avvocato ecc;

“Siamo genitori e vorremmo fare i genitori, ma questo ci è impedito. La realtà che vivono le persone con disabilità è lontana dai principi di uguaglianza, poiché non vengono dati i mezzi e tutto viene delegato alle famiglie”.

Angela inizia la sua battaglia nel 2013 scontrandosi con il primo grande muro quello della solitudine, dell’indifferenza, dell’impotenza e della colpa:

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“quando Matteo era piccolissimo sentivo che c’era qualcosa che non andava così ogni due per tre mi presentavo dal pediatra: mi veniva detto che ero ansiosa, che ero depressa, che se non riuscivo a riprendermi mi avrebbero tolto il bambino. Cercavo aiuto e ricevevo una condanna. Era il mio primo e unico figlio, era certamente una condizione nuova per me, non avevo metri di confronto, ma sentivo che c’era un problema dovevo solo scoprire il suo nome. Una donna quando partorisce da poco, sicuramente si trova in una condizione di fragilità anche psicologica e dovrebbe essere supporta, bisognerebbe ascoltare e stare attenti al peso che certe parole possono avere in quel delicato momento. Le mamme spesso si sentono in colpa, responsabili della condizione del figlio. Dopo tante insistenze e scontri, la visita dal neuropsichiatra a Messina e finalmente arriva la diagnosi di autismo. Bene finalmente sapevo il nome, i nostri dubbi si potevano spostare da ‘cosa ha mio figlio?’ a ‘come possiamo aiutarlo?’. Il neuropsichiatra ci disse che inconsapevolmente avevamo fatto terapia al bambino, il papà gli aveva insegnato a camminare perché aveva problemi motori, e la mamma gli aveva insegnato che il contatto fisico può essere comfort, sollievo rassicurante. Ci siamo sentiti finalmente genitori (…) noi viviamo solo per lui. Questa è una cosa bellissima ma anche una cosa sbagliata perché dovremmo vivere anche per noi e questo non ci è possibile (…)”.

Quali sono i muri che impediscono oggi ai tanti Matteo di usufruire dei servizi necessari?

“I muri non sono posti solo dall’autismo, ma da tutte le mancanze, da tutto quello che ci dovrebbe essere e non c’è. Ci sono tanti nastri tagliati, tanti convegni, tante parole, riflettori ma nel concreto c’è poco o niente. Tanta informazione e purtroppo ancora tanta ignoranza: la disabilità è qualcosa che noi vediamo collocata nella vita degli altri, come qualcosa distante da noi e non parte di noi. Soffro quando mi si dice “che bello questo bambino, che peccato però…” il vero peccato è questa forma mentis, considerare la disabilità qualcosa a parte, distante. Come possiamo parlare di inclusione e integrazione, di pari opportunità se mettiamo le distanze? Tanti mi hanno detto “ma con un figlio così perché non te ne vai dove ci sono i servizi?”. Ma perchè dovrei sradicare mio figlio dalla sua città, dal suo mare che ama, dalla sua via marina, dal suo mondo, perché qui le cose non funzionano? Qui le cose devono funzionare! Noi tutti abbiamo il dovere di farle funzionare. Sono delusa, non più arrabbiata, dall’amministrazione comunale che non rispetta la sentenza del TAR e si giustifica dietro le linee guida dalla Regione. Le linee guida la Regione le ha formulate e sono arrivate, ma nel caso di Matteo non servono perché c’è un progetto di vita realizzato dal commissario adacta, deliberato su un albo pretorio e reso esecutivo dal TAR.

Bisognerebbe semplicemente rispettare la legge e mettere in atto quello che c’è scritto, concordarsi con l’azienda sanitaria che già fa il suo e iniziare assieme il percorso. Quando ci si rivolge alle istituzioni e vai a chiedere qualcosa, non bisognerebbe farlo passare come un favore o una cortesia, nella nostra città ciò che dovrebbe essere ordinario diventa straordinario. Compito di un’istituzione è proprio quello di essere al servizio della cittadinanza e la cittadinanza è costituita da persone che hanno diverse necessità che devono avere la possibilità di esprimersi in egual misura”.

Come può sostenere il carico oneroso delle terapie chi non ha possibilità economiche?

“Non lo sostiene. Molte famiglie rinunciano. Non è per niente facile, noi famiglie anticipiamo il costo delle terapie che poi ci vengono rimborsati, ma con i ritardi vari non è facile stare al passo. Per un periodo abbiamo accumulato il “debito” di mesi aspettando un sussidio che si chiama FNA per poter pagare quei mesi e continuare le terapie del bambino. Nel frattempo mio marito si è ammalato e ha perso il lavoro, io a lavoro non potevo andarci per potermi occupare di Matteo. E’ stato davvero difficile”.

Come lo immagina il futuro di Matteo?

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“Adesso, grazie al progetto di vita, comincio ad immaginarlo. Spero che anche lui possa dare il suo apporto alla società come Persona, avere la possibilità un domani di fare un lavoretto in base alle sue capacità, difficoltà, e tempi specifici. Lo immagino a sistemare cose perché è molto preciso… anche a coltivare qualcosa a contatto con la natura, annaffiare la terra, qualcosa che lo faccia sentire utile”.

Il dopo di noi spaventa. Cosa consiglia alle famiglie?

“Io do un suggerimento di concentrarsi sul mentre, se costruiamo assieme il mentre il dopo è già fatto! Spesso i genitori hanno difficoltà ad affrontare il mentre perché sono soli. Le domande ricorrenti sono “chi ci sarà per lui quando noi non ci saremo? Chi amerà mio figlio quanto lo amo io? Chi capirà le sue esigenze?”. Questi pensieri molto spesso ci fanno stare cosi male da impedirci di vivere… L’idea che un bambino diventi un adulto e sia destinato in una struttura ci angoscia, non è una bella cosa; le strutture sono anche importanti, però non sono e non devono essere l’unica soluzione. I genitori innanzitutto devono sapere, informarsi sui loro diritti, e allenarsi a non arrendersi, a non chiudersi e isolarsi, a chiedere aiuto. Il supporto psicologico alle famiglie è fondamentale per dare un nome a quello che si prova nelle varie fasi, per metabolizzare e andare avanti”.
Angela Villani fondatrice dell’associazione ‘Il volo delle farfalle evoluzione autismo’ ci mostra infine fiera e commossa il libro che ha scritto con l’intento di spiegare un sistema di vita. ‘Cucù, io ci sono‘ è un libro dal linguaggio semplice, scorrevole ricco di immagini che ritraggono le scene di vita quotidiane di Matteo, un titolo che invita alla scoperta e alla sorpresa “mi piacerebbe fare un esperimento sociale, che le famiglie dei cosiddetti normodotati vivessero assieme alle famiglie dei bambini con autismo e viceversa, perché l’autismo non sia un concetto teorico e lontano ma che avvicini alla storia singolare e particolare di ognuno. Perché ci sia lo sforzo di fermarsi ad osservare di più questi bambini, quello che fanno, come lo fanno, come loro apprezzano tante cose che per noi sono scontate ma sono il senso della vita”.

Angela sorride e con ironia continua

“nel tempo sono diventata autistica anch’io. Matteo mi ha insegnato a dare peso e valore alle priorità; a selezionare le amicizie, a evitare i luoghi affollati troppo rumorosi, a non perdere tempo in conversazioni sterili, a non subire il giudizio degli altri, perchè c’è altro a cui pensare… a saper scegliere quello che mi fa stare bene e tranquilla; mio figlio mi ha insegnato a essere libera.”

Matteo è in partenza per delle gare di nuoto fuori regione

“sappiamo che per noi sarà un calvario, posti nuovi, lunghe distanze ma dobbiamo andare, Matteo deve sapere che può, anzi che deve poter vivere una vita normale con le sue possibilità, come tutti”.