Il “Malocchio”: fede, superstizioni e leggende del folklore calabrese
La pratica di "togliere il malocchio" è una prerogativa delle donne calabresi, che nei secoli hanno appreso come liberare amici e parenti da influssi negativi
23 Ottobre 2019 - 10:05 | di Redazione
Conosciamo la nostra terra, ne conosciamo i profumi, i luoghi, ma non sempre conosciamo i meravigliosi miti e le misteriose leggende che avvolgono la Calabria.
Oggi vi raccontiamo credenze e leggende che ruotano attorno al tema del ‘Malocchio‘.
Tra fede e superstizione: cosa è il malocchio?
Per quanto possa sembrar strano, l’uomo del duemila è schiavo delle superstizioni e crede fermamente nella iella. Non mancano di certo dimostrazioni lampanti, ad esempio i pregiudizi che ruotano intorno al gatto nero o al numero 17, fino ad arrivare al classico corno rosso, che servirebbe invece ad allontanare le cose negative.
Il malocchio – come anche il ‘piccio‘ – in Calabria è qualcosa di quasi tangibile, che di certo non viene appreso a scuola, ma è conosciuto grazie alle leggende narrate di generazione in generazione fino ai nostri giorni.
Letteratura e cinema
Persino il grande Pirandello si accosta al tema del malocchio in una sua famosa commedia. Il protagonista Rosario Chiarchiaro pretende infatti che gli sia rilasciata una pubblica patente di jettatore per trarne profitto:
“Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno fatto cacciar via… con la scusa che, essendoci io, nessuno più veniva a far debiti e pegni; mi hanno buttato in mezzo alla strada, con la moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili, di cui nessuno vorrà più sapere, perché son figlie mie…”.
Il malocchio non fa parte però solo della letteratura italiana, ma anche del grande schermo. Come non ricordare la scena del grande Lino Banfi immerso in una vasca intento ad allontanare il malocchio con la celebre frase che ha conquistato milioni di italiani:
“Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, ego me baptizo contro il malocchio. Puh! Puh! E con il peperoncino e un po’ d’insalèta mi protegge la Madonna dell’Incoronèta; con l’olio, il sale, e l’aceto mi protegge la Madonna dello Sterpeto; corrrrrno di bue, latte scremèto, proteggi questa chésa dall’innominèto”.
La pratica calabrese
Si definisce malocchio la carica d’influenze negative che certe persone invidiose mandano col semplice sguardo. L’etimologia della parola rimanda proprio al significato di ‘occhio malevolo’. Quante volte vi è capitato di incontrare per strada individui che procurano discordia e disgrazie e altri che, all’opposto, emanano gioia e benessere?
I primi vengono sfuggiti dalla società perché portatori di jella, dei secondi si gradisce la piacevole compagnia.
La pratica di “togliere il malocchio” è una prerogativa delle donne calabresi, che nei secoli hanno appreso come liberare amici, parenti e conoscenti da questi influssi negativi grazie ad alcune preghiere che solo poche elette conoscono.
Si narra che vi siano alcuni tratti distintivi grazie ai quali è possibile riconoscere subito una persona che è stata presa di mira da altre e per questo ‘malocchiata’. Un esempio possono essere i frequenti sbadigli e sgradevoli mal di testa.
Sono per lo più le nonne, le zie, le vicine di casa più anziane a conoscere il rituale in grado di scacciar via il malocchio una volta identificato in una persona e il metodo più conosciuto è probabilmente quello che prevede l’utilizzo dell’olio e di un piatto. Vi sono poi delle domande che in genere vengono fatte al malcapitato, come ad esempio: “Cu ti ‘ncuntrau? Aundi isti?”
Nonostante l’incredulità di molti, il malocchio è tutt’oggi una pratica molto diffusa nella nostra regione, tanto da rientrare tra le tradizioni più antiche.