Ndrangheta a Reggio, in amministrazione giudiziaria società nel settore degli appalti pubblici

La società ha sede a Siderno


La Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria, sotto il coordinamento di questa  Procura della Repubblica, ha eseguito un decreto di applicazione dell’amministrazione giudiziaria emesso dal locale Tribunale – Sezione  Misure di Prevenzione – ai sensi dell’art. 34 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione – nei confronti della società SCALI UNIPERSONALE Srl, con sede in Siderno (RC), operante nel settore delle costruzioni edili e stradali.

L’amministratore unico della predetta società, già destinataria di informazione interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria, dopo aver impugnato dinanzi al TAR Calabria il provvedimento prefettizio, aveva formulato richiesta volta all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del controllo giudiziario, a norma dell’art. 34 bis del D.Lgs. nr. 159/2011.

A sostegno di tale istanza, l’impresa aveva prodotto argomenti volti ad affermare la propria immunità dalla ipotizzata infiltrazione mafiosa, ponendo altresì l’accento sull’esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali, in considerazione dell’assoluta rilevanza delle commesse pubbliche che rappresentano il 95% del volume d’affari complessivo della società.

Nell’ambito del procedimento, la Procura della Repubblica – DDA di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo, Dottor Giovanni BOMBARDIERI, ha invece richiesto la più incisiva misura  dell’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 del D.L,vo nr. 159/2011, sulla base delle risultanze investigative acquisite nei procedimenti penali relativi alle operazioni Martingala, Mandamento Jonico e Confine, ritenute nell’insieme sintomatiche di uno “stabile inserimento in un sistema di gestione illecita degli appalti pubblici, nel quale l’impresa, subendo l’aggressione predatoria mafiosa, ma conseguendo – in cambio del suo restare sistematicamente succube – la possibilità di essere riconosciuta quale affidabile interlocutore economico dei sistemi criminali che governano quei mercati, è particolarmente attiva.””

I due nuovi istituti dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario, introdotti con le modifiche apportate al Codice Antimafia nel 2017, sono alternativi alla misura ablativa del sequestro finalizzato alla confisca, essendo ispirati dalla necessità di rimuovere situazioni di infiltrazione e di condizionamento da parte della criminalità organizzata dalle imprese, mediante l’adozione di strumenti di controllo diretti alla bonifica e successiva restituzione dell’azienda al proprio titolare.

L’obiettivo è, in sintesi, quello di promuovere il recupero delle imprese che siano  direttamente o indirettamente sottoposte a condizioni di intimidazione o di assoggettamento rispetto ad una associazione di stampo mafiosa o possano comunque agevolarne l’attività, con sistematicità ovvero con occasionalità. A tal fine, il Tribunale ne affida la gestione o il controllo dell’attività ad amministratori appositamente nominati, esercitando in tal modo un potere di vigilanza volto ad assicurare la continuità imprenditoriale, rimuovendo le cause che hanno portato al condizionamento mafioso.

Il tratto distintivo tra l’amministrazione giudiziaria ed il controllo giudiziario è da individuarsi nella circostanza secondo cui il controllo giudiziario deve trovare applicazione, in luogo dell’amministrazione giudiziaria, nei casi in cui l’agevolazione mafiosa abbia un carattere sporadico o occasionale.

Peraltro va anche evidenziato che quella in questione è una delle prime applicazioni nazionali, di un recente principio fissato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 46898/2019), in base al quale nel procedimento di ammissione al controllo giudiziario, finalizzato a stemperare gli effetti dell’interdittiva antimafia, il pubblico ministero può proporre una misura di prevenzione più pregnante di quella richiesta dall’istante (che può giungere sino al sequestro), a cagione del maggiore rapporto collusivo con soggetti dotati di pericolosità qualificata, emerso nel corso del procedimento.

Infatti i giudici del Tribunale – Sez. Misure di Prevenzione – , muovendo dall’esame delle motivazioni contenute nell’informazione interdittiva antimafia ed esaminando i conseguenti provvedimenti del TAR di Reggio Calabria e del Consiglio di Stato, hanno ritenuto sussistenti indizi di un’agevolazione stabile e sistematica, tale da precludere in radice l’accesso al controllo giudiziario.

Al riguardo, in particolare il Collegio ha rimarcato che:

> la mancata presentazione della denuncia per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso subìta da esponenti della cosca di ‘ndrangheta Cataldo (operazione Mandamento Jonico) deve ritenersi indice confermativo di soggiacenza e dunque di pericolo infiltrativo rispetto alla criminalità organizzata sul territorio di Locri;

> non può essere escluso il pagamento della somma di € 80.000,00 a titolo di estorsione sulla base di una semplice consulenza contabile di parte;

> i giudici della Corte d’Assise di Locri, in merito alla deposizione rese dall’amministratore della SCALI Srl nel procedimento “Confine”, hanno stigmatizzato il fatto che il predetto si sia limitato ad esplicitare il contenuto lecito di una conversazione intercorsa con un imputato, nella quale i due si lamentavano dell’esosità delle pretese economiche di alcune cosche, dichiarando di non ricordare tutto il resto;

> il raffinato sistema di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti organizzato da SCIMONE Antonio e svelato dall’operazione Martingala, come emerso dagli accertamenti effettuati dalla DIA di Reggio Calabria, aveva consentito non soltanto la perpetrazione di frodi  fiscali, bensì anche il drenaggio verso le casse delle cosche di una parte delle somme incassate da varie imprese, tra cui la SCALI Srl, aggiudicatarie di appalti per l’esecuzione di lavori pubblici, attenuando peraltro il danno economico in capo all’imprenditore “condizionato”, consentendogli la possibilità di ottenere un indebito risparmio fiscale attraverso l’utilizzo delle false fatture;

Gli approfondimenti investigativi del locale centro DIA, delegati dal Procuratore Aggiunto Dottor Calogero Gaetano PACI e dal Sostituto Procuratore Dottor Stefano MUSOLINO, hanno inoltre consentito di dimostrare la permanenza di rapporti commerciali con fornitori controindicati anche per più anni successivi all’adozione di provvedimenti interdittivi nei confronti di tali imprese.

In conclusione, il Tribunale ha rilevato chiaramente la permeabilità della società rispetto ad infiltrazioni della criminalità organizzata, nonché l’agevolazione stabile effettuata dalla società in favore di più soggetti legati alle locali cosche di ‘ndrangheta interessate al controllo del settore dell’edilizia pubblica, attraverso una “obiettiva commistione di interessi” tra le attività delittuose dell’agevolato e le attività, ancorchè esercitate con modalità lecite, dall’impresa agevolante.

Alla luce di questi elementi, è stata disposta la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria per un periodo di sei mesi, al termine dei quali il Tribunale sarà chiamato a valutare gli esiti del programma di bonifica dell’impresa.