Dal ‘Mary Kate’ alle attività estorsive in città: così si muoveva la ‘ndrangheta

L'operazione 'Pedigree' ha dimostrato come la cosca guidata da Cortese fosse impegnata nell'accaparramento di proventi estorsivi a carico di imprenditori e commercianti


L’attività investigativa ha dimostrato come la cosca guidata da CORTESE Maurizio controlli capillarmente il territorio sul quale esercita il dominio mafioso e sia dedita all’intimidazione e alla violenza in funzione dell’accaparramento di proventi estorsivi a carico di imprenditori e commercianti. Nell’ottica della massimizzazione dei profitti, il CORTESE non ha esitato ad ordinare la distruzione del bar dell’associato MORABITO Domenico per avvantaggiare l’altro sodale FILOCAMO Antonino, operante nella stessa zona, dal quale avrebbe ottenuto maggiori prebende.

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Ed invero, in qualità di gestore di fatto del bar “Mary Kate” sul Viale Calabria, MORABITO Domenico aveva promesso al CORTESE somme di denaro per essere stato autorizzato ad aprire il bar nella zona notoriamente controllata dai LABATE. Tuttavia il CORTESE, ritenendosi non soddisfatto dalle prestazioni del MORABITO – il quale, peraltro, avrebbe riferito di aver aperto l’esercizio commerciale senza il placet di alcuno – aveva preferito ampliare i suoi guadagni accettando maggiori offerte da FILOCAMO Antonino, titolare del “Royal Cafè”, ubicato nelle vicinanze del “Mary Kate”, finché il CORTESE aveva deciso di farlo chiudere con due gravi danneggiamenti eseguiti mediante incendio dal FILOCAMO. Assunta la determinazione di azzerare la concorrenza del MORABITO, il boss forniva dal carcere le indicazioni di dettaglio alla moglie, celate da un linguaggio criptico, ma ben noto alla PITASI la quale, ancora una volta, si prestava a fare da vettore delle disposizioni del capocosca agli affiliati. CORTESE Maurizio impartiva le sue direttive facendo ricorso ad espressioni relative all’ambiente dei “cani”.

Nello specifico l’espressione “Tenere il cane di Monica” stava a significare che doveva essere danneggiato il bar “Mary Kate” di MORABITO Domenico, coniugato con Monica TOMASELLI. CORTESE Maurizio aveva individuato nel sodale MASSARA Sebastiano – assiduo frequentatore della famiglia CORTESE-PITASI e noto come ” picchiatore” e “demolitore” – il soggetto che doveva porre in essere l’azione delittuosa [indicata con le locuzioni “monta” e “accoppiamento”] rispetto alla quale era necessario osservare la massima riservatezza. E così, nella serata del 12 aprile 2019, il bar “Mary Kate” sito in Viale Calabria, subiva un grave danneggiamento causato da un incendio doloso. A commettere il delitto non era stato però MASSARA Sebastiano come disposto dal CORTESE ma lo stesso FILOCAMO Antonino che aveva agito – in anticipo rispetto al MASSARA – non avendo bene inteso le disposizioni date dal boss dal carcere. Da quel momento CORTESE Maurizio avrebbe preteso da FILOCAMO Antonino l’elargizione di cospicue somme di denaro, sicché disponeva alla moglie di contattare il predetto per chiarire che della vicenda del danneggiamento, finalizzato appunto ad eliminare la concorrenza del bar “Mary Kate” del MORABITO, avrebbe preferito occuparsene lui direttamente [il CORTESE]. Ulteriori intese intercorse evidentemente con il CORTESE consentivano al MORABITO di riaprire il bar.

FILOCAMO e CORTESE quindi concordavano che se MORABITO avesse riaperto il bar, essi avrebbero posto in essere ulteriori danneggiamenti [“accoppiamenti”]. Il 13 maggio 2019, MORABITO avviava i lavori di ristrutturazione dell’esercizio commerciale. Ed esattamente 5 giorni dopo l’inizio dei lavori, i1 “Mary Kate” subiva un nuovo danneggiamento mediante incendio.

MORABITO Domenico si è distinto anche per aver posto in essere atti di concorrenza sleale con minaccia e di natura estorsiva ai danni del proprietario di un immobile il quale è stato costretto a cedergli in locazione i locali destinati al bar anziché a due fratelli con i quali aveva in corso trattative. La spiccata autorevolezza criminale del MORABITO, acquisita e pienamente avvertita dall’esterno, grazie alle frequentazioni con soggetti di altissima caratura criminale, come ad esempio Domenico SCONTI, nonché il tono velatamente intimidatorio del linguaggio adoperato, inducevano il proprietario dei locali a non controbattere alle richieste del MORABITO a difesa della propria libertà di autodeterminazione, ma anche a fornire una giustificazione a quell’affronto, mostrando tutta la propria accondiscendenza con un finale “voi siete il padrone signor MORABITO”. MORABITO Domenico aveva scelto di schermare l’esercizio da possibili provvedimenti ablativi, utilizzando l’espediente dell’intestazione fittizia, evidentemente preoccupato di possibili indagini in corso a suo carico.

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Anche in relazione all’attività di panetteria il CORTESE, coadiuvato dalla moglie Stefania PITASI e con il concorso materiale del sodale DE LORENZO Salvatore Paolo, ha imposto la sua forza di intimidazione mafiosa costringendo un rivenditore a fare rifornimento di pane presso l’esercizio abusivo dei coniugi [CORTESE-PITASI] che si servivano di un forno a legna in casa.

Coadiuvato dalla PITASI, il CORTESE, ha posto in essere pressioni estorsive anche nei confronti del titolare di un bar di via San Sperato. La richiesta estorsiva, che doveva essere materialmente eseguita da Antonino FILOCAMO, aveva ad oggetto la somma di euro 2.500,00. Il CORTESE impartiva le direttive tramite l’utenza cellulare che deteneva clandestinamente presso il carcere di Torino, nonché tramite il servizio di messaggistica attivo presso la medesima struttura carceraria. Come erano soliti fare per discutere di estorsioni Maurizio CORTESE Maurizio – che è titolare dell’impresa individuale denominata “Allevamento Paonellas di Maurizio Cortese”, con sede a Reggio Calabria – e PITASI Stefania utilizzavano espressioni tipiche delle attività di allevamento di cani, così da non destare sospetti in caso di intercettazioni. La pretesa estorsiva non andava a buon fine in quanto il commerciante aveva rappresentato l’impossibilità di fare fronte alla richiesta dal momento che versava in una situazione di “difficoltà” economica. È in questo momento che CORTESE ordinava l’esecuzione di un’azione ritorsiva in danno della vittima, stabilendo modalità e tempistica della stessa, ovvero facendo riferimento ad un’azione di danneggiamento dell’esercizio commerciale della vittima. Decideva quindi di fare eseguire l’azione a Sebastiano MASSARA dopo circa 20 giorni, con modalità analoghe a quelle adottate circa due anni prima. L’azione criminosa non si era concretizzata in quanto, subito dopo la registrazione delle suddette conversazioni, in data 2 maggio 2009, Personale della Squadra Mobile procedeva alla perquisizione dell’abitazione di Sebastiano MASSARA.

Una ditta impegnata in lavori di ristrutturazione di un edificio a due piani fuori terra ubicato in Reggio Calabria, del valore di 40.000 euro, veniva costretta da CORTESE Maurizio, PITASI Paolo, PITASI Stefania, mediante minacce dirette ed indirette derivanti dalla forza intimidatrice della cosca, a corrispondere una percentuale sull’importo dei lavori da eseguire. I predetti venivano coadiuvati dai sodali SCONTI e BARBARO. L’estorsione si consumava nel marzo del 2019 e aveva ad oggetto la dazione da parte della vittima di euro 1.000,00.

A CORTESE Maurizio e a DE LORENZO Salvatore Paolo è contestato anche il delitto di estorsione aggravata perché, con minaccia implicita derivante dalla loro appartenenza alla cosca SERRAINO, costringevano un numero indeterminato di soggetti non identificati a rinunciare ai crediti che vantavano nei confronti del DE LORENZO, tra cui uno di 105.000 euro a titolo di corrispettivo per alcuni lavori di edilizia dallo stesso commissionati. Maurizio CORTESE, intimava alle persone offese di non avanzare richieste di pagamento, avvertendole del suo personale interesse alla rimessione dei debiti del DE LORENZO.

A DE LORENZO Salvatore Paolo è contestato il delitto di detenzione e porto illegale in luogo pubblico di due o tre pistole mitragliatrici Beretta PM 12 o comunque armi aventi analoghe dimensioni e caratteristiche esteriori.

L’inchiesta ha dimostrato anche come alcuni indagati, in ragione della loro appartenenza alla cosca SERRAINO e della consapevolezza di potere essere destinatari di provvedimenti di custodia cautelare o di misure di prevenzione personale e patrimoniale, abbiano posto in essere un’accurata attività di fittizia attribuzione della titolarità di attività imprenditoriali al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine e le disposizioni di legge in tema di misure di prevenzione.

I principali protagonisti di tali vicende sono stati CORTESE Maurizio, PITASI Stefania, DE LORENZO Salvatore, MORABITO Domenico, NUCERA Bruno.