"Ducale", anche da Tuccio la richiesta al Prefetto: "Disponga Commissione di accesso"

Scambio elettorale politico-mafioso a Reggio, l'ex assessore Tuccio: "Politica in silenzio ma lo Stato sia vicino ai cittadino. Io in passato mi dimisi"

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di Luigi Tuccio, ex Assessore del Comune di Reggio Calabria rivolta al Prefetto di Reggio Calabria, Dott,ssa Clara Vaccaro.

Lettera aperta a Sua Eccellenza la Signora Prefetto di Reggio Calabria,

“Io, Assessore dimissionario del Comune di Reggio Calabria, sciolto per infiltrazioni mafiose, nel silenzio bipartizan della inutile politica reggina, Le chiedo sommessamente di determinare la Commissione di Accesso per il Comune di Reggio Calabria.

Poco tempo dopo il momento in cui fui immotivatamente coinvolto nelle vicende della relazione prefettizia, sistematicamente smentita nei suoi contenuti dalla forza della verità e della storia, che ne hanno certificato la totale infondatezza, l’allora Procuratore Cafiero De Raho, oggi paladino politico del Movimento Cinque Stelle, ammoniva che la lotta contro la criminalità organizzata non possa prescindere da una lettura in profondità ed in trasparenza nelle pieghe più intime dei rapporti tra il mondo politico amministrativo e gli esponenti della criminalità organizzata, nella veste di imprenditoria mafiosa”.

La richiesta di Tuccio al Prefetto Vaccaro

“Orbene, oggi, sulla base di un cultura garantista ricevuta jure hereditario ed alla quale attingo a piene mani, convinto che le indagini debbano fare il proprio corso e gli indagati restano presunti innocenti fino a sentenza passata in giudicato, “leggo” lo splendido e roboante silenzio al quale assistiamo, non soltanto del suddetto movimento politico ma ancora di più delle estemporanee associazioni, quale “Reggio Non Tace”, che si accodano al significante mutismo di esponenti politici locali – da Destra a Sinistra – sedenti in consiglio comunale o nelle stanze delle sedi partitiche reggine e romane che, invece, all’epoca del mio coinvolgimento, quale Assessore comunale esterno, per una vicenda giudiziaria che non mi riguardava affatto, né come persona nè come amministratore, non esitarono a lanciare strali di moralismo, scagliatimi contro da destra e da manca, addirittura ipotizzando che, tramite la mia persona (cresciuta a pane e legalità sin dai primi vagiti), una sorta di virus criminogenetico fosse potuto arrivare dentro le scelte della pubblica amministrazione e, dunque, mi vennero coralmente “consigliate” le dimissioni.

Naturalmente, oggi, alla luce delle odierne vicende che, invero, certificano a più riprese, quantomeno le irregolarità amministrative dei risultati elettorali, invero denunciate sin da subito dal solo Klaus Davi, rilevo, con grande amarezza, la camaleontica insensibilità della politica, tutta!, ai valori dell’etica politica e della tutela del bene pubblico, rimodulando il proprio pensiero alla luce delle attuali convenienze, trincerandosi dietro ad un conveniente silenzio, finalizzato alla tutela dei singoli emolumenti percepiti per via consiliare, in barba a qualsivoglia valore etico e ragioni di opportunità all’epoca sbandierati ed oggi disvelando le vere ragioni di opportunità ed anzi di opportunismo politico”.

“Stato sia vicino ai reggini”

“Va, dunque, richiamata la vera ratio dell’art 143 Tuel, che è quella di verificare la sussistenza di “forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Non bastano, infatti, le determinanti e sempre maggiormente auspicate iniziative giudiziarie, tuttavia finalizzate alla sola repressione della fase patologica della pubblica amministrazione né tanto meno l’evidente distacco delle maggioranza silenziosa dei cittadini che continua, elezione dopo elezione a manifestare il proprio dissenso con l’evidente astensionismo, ma appare evidente come anche le Istituzioni prefettizie debbano dimostrare di volere contribuire alla rinascita della Città di Reggio Calabria, evidentemente piegata a logiche di meri opportunismi personali ed individuati trasversalismi partitici unicamente finalizzate a carriere politiche.

Ed allora, Sua Eccellenza, con il doveroso rispetto verso il suo ruolo, accolga l’appello non soltanto di chi ha sentito il dovere di rimettere le deleghe, seppur convinto della propria estraneità agli “addebiti” (invero nessuno!) contestati, avendo ritenuto come in quel momento storico la città aveva la precisa esigenza di recuperare fiducia verso le Istituzioni, attraverso un gesto concreto (le proprie dimissioni) e non soltanto attraverso vacui pensieri sbandierati; ma accolga l’appello di un città intera, in parte piegata dal peso della sfiducia verso le Istituzioni ed in parte convenientemente silente sotto i diktat partitici trasversalmente determinati”.

“Oggi è il venuto il giorno in cui lo Stato non può permettersi l’occasione di non fare sentire le Istituzioni vicine ai cittadini, non facendo smarrire loro quel Senso dello Stato che non può limitarsi alle celebrazioni pubbliche che, seppur contribuendo alla diffusione dei valori della Patria, rischiano di emergere per mera vacuità se non accompagnate da concrete iniziative quale, appunto, l’invio della Commissione di Accesso prevista proprio del secondo comma della su richiamata norma che prevede espressamente : “Il Prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l’accesso presso l’ente interessato. In tal caso, il Prefetto nomina una Commissione d’Indagine… attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’Interno…”

E ciò non già su un previo giudizio sommario delle recenti indagini, meritevoli di ogni sorta di garanzia processuale fino a giudicato compiuto bensì alla luce del conclamato arresto del Giudice amministrativo, secondo cui lo “scioglimento” non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che per l’emanazione del relativo provvedimento sia sufficiente la sola presenza di elementi indizianti che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato.

Esattamente come occorso, a parti inverse, un paio di lustri orsono…”, conclude Tuccio