Op. "Ducale", il controllo degli Araniti nella gestione della discarica di Sambatello

Il (rocambolesco) tentato omicidio allo 'sceriffo' Nino Princi, il controllo sulla manodopora e "l'irritazione" degli Araniti

Dall’imponente inchiesta ‘Ducale’ emergono numerosi retroscena riguardanti soprattutto il controllo del territorio nella zona di Catona e nei paesi vicini. Da evidenziare infatti come le indagini riguardanti il presunto voto di scambio elettorale politico-mafioso riguardi una parte dell’inchiesta, che ha numerosi altri filoni.

Uno di questi riguarda l’impianto di smaltimento dei RSU di Sambatello di Reggio Calabria, realizzato’ negli anni `80, che fa parte del sistema integrato regionale di gestione RSU denominato “Calabria Sud”. La struttura sorge a ridosso della strada a scorrimento veloce Gallico — Gambarie e nell’operazione Ducale, l’impianto risulterebbe in mano alla cosca Araniti. Decidevano tutto loro, chi doveva lavorare e chi no.

I primi riferimenti agli interessi della famiglia Araniti rispetto al lucroso business dell’impianto in parola, si rinvengono nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Paolo Iannò. Segnalano i Carabinieri sul punto:

“In merito alla nascita dell’impianto di Sambatello di Reggio Calabria, con riferimento all’attività d’indagine avviata da questo Reparto, si ritiene utile riportare:
le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Iannò Paolo nella parte in cui, nel verbale
illustrativo del 21.02.2003, riferiva elementi utili sul “concimaio” di Sambatello affermando:

«… c’è il concimaio a Sambatello… omissis… Il concimaio che buttano la spazzatura, so che dovevano fare nella fiumara di Scacciati, questo 87-88 se non erro, buttare la spazzatura» Ed ancora, in merito alla realizzazione dell’opera: «.. . concimaio eh, concimaio l’ha fatto in subappalto l’impresa ARANITI Pietro, Santo sempre…».

Dagli atti contenuti nel fascicolo “P” di ARANTI Santo, con riferimento alla società COSTRUZIONI SUD – S.R.L., di cui il fratello Pietro è socio e conduttore, si aveva modo di accertare che l’impresa aveva compartecipato, unitamente ad altre ditte, alla realizzazione di un compattatore di rifiuti solidi urbani in Contrada Sambatello.

Il rocambolesco tentato omicidio dello ‘sceriffo’ Princi

Detto impianto, nel febbraio 2016, era il teatro di un drammatico fatto di sangue: il tentato omicidio, perpetrato con modalità squisitamente mafiose, ai danni di Antonino (“Nino”) Princi, detto “lo Sceriffo”.

Nella sentenza del GUP del Tribunale di Reggio Calabria emessa il 18 luglio 2018, all’esito del giudizio abbreviato del procedimento 2163/17 RGNR486 (c.d. Kalanè), così è stato descritto quel gravissimo episodio criminale, caratterizzato dalla spregiudicata azione da “far west” che i
killers mettevano in atto e che solo miracolosamente non si traduceva nella morte della vittima predestinata.

Si legge dalle pagine dell’inchiesta.

“….il giorno 9 febbraio 2016, perveniva al servizio 1113 della Questura di Reggio Calabria una telefonata, da parte di FAUCI Rosario, responsabile dell’impianto di trattamento dei rifiuti di Sambatello gestito dalla società “Ecologia Oggi”, il quale denunciava di avere udito
dei colpi di arma da fuoco all’interno del medesimo impianto.

Sul posto si recava personale della Squadra Volanti della Questura di Reggio Calabria e, dai primi sommari accertamenti, si apprendeva che ignoti, a bordo di una autovettura, avevano esploso colpi di arma da fuoco nei confronti dell’odierno imputato, PRINCI Antonino, mentre a bordo della propria autovettura si allontanava dal luogo di lavoro, il quale era riuscito a scappare, rientrando precipitosamente all’interno del sito senza riportare gravi ferite.

Sul posto interveniva altresì personale del Servizio di Polizia scientifica della Questura di Reggio Calabria, i quali rinvenivano nr. 3 bossoli per pistola cal. 9X21, nr. 1 bossolo cal. 12, nr. 1 borra per cartuccia cal. 12, mentre nell’autovettura di REPACI Antonio, dipendente
dalla medesima società, -che aveva seguito il PRINCI mentre si dirigeva verso l’impianto per cercare di sfuggire all’agguato.

I rilievi compiuti appaiono idonei a descrivere una dinamica degli accadimenti particolarmente violenta ed efferata. L’inseguimento della autovettura sulla quale viaggiava il PRINCI, iniziato sulla pubblica via, continuava anche all’interno dello stabilimento della società Ecologica Oggi, mediante esplosione di ripetuti colpi di arma da fuoco, che hanno colpito anche macchine parcheggiate e i muri degli immobili e,
solo per puro caso, non hanno attinto terzi estranei che si trovassero di passaggio. I fori di entrata sul parabrezza anteriore, tutti concentrati nella parte centrale in direzione del guidatore e, soprattutto, i fori rinvenuti su entrambi i poggiatesta, escludono ogni dubbio circa la effettiva volontà di attentare alla vita del guidatore”.

È certo che il responsabile di quell’agguato -si legge nelle carte- era stato un noto esponente delta `ndrangheta locale, ovvero Giuseppe GRECO, già capo locale di Calanna.

Il Giudice dell’udienza preliminare — pur prendendo atto del suo sopravvenuto decesso (in data 23 giugno 2018 ) e pronunciando conseguentemente declaratoria di non doversi procedere per intervenuta morte del reo – concludeva nel senso che:

“Può ritenersi provato che GRECO Giuseppe, avvertendo di essere stato esautorato dalle funzioni di vertice della consorteria criminale ricevute in eredità dal padre (“don Ciccia”, il vecchio boss di Calanna), abbia organizzato e partecipato attivamente per sua stessa
ammissione al tentativo di omicidio commesso ai danni di Princi Antonino.

Il Giudice ritiene pienamente raggiunta la prova in merito alla programmazione e all’esecuzione del tentato omicidio di PRINCI Antonino ad opera di GRECO Giuseppe, imputato oggi deceduto.

La causale di tale tentato omicidio si colloca nel contrasto sorto fra il GRECO, che aspirava a mantenere il controllo degli affari criminali nel territorio di Calanna, ed il PRINCI, che unitamente ad altri soggetti, stava espandendo la sua influenza criminale.

Gli interessi delle cosca Araniti sulla discarica

Secondo quanto emerso dalle pagine dell’operazione Ducale, “Era proprio muovendo dal tentato omicidio di Antonino PRINCI, che il collaboratore di giustizia Mario CHINDEMI riferiva quanto a sua conoscenza in merito agli interessi che la `ndrina ARANITI coltivava sulla discarica di Sambatello.

CHINDEMI raccontava, per come riferitogli dal fratello Pasquale, che Giuseppe GRECO aveva attentato alla vita di PRINCI perché — approfittando del suo stato di detenzione — ne aveva preso ìl posto quale capo locale di Calanna.

Gli ARANITI avevano manifestato grande irritazione per l’accaduto, per due ordini di ragioni. Per un verso, era stata censurata la scelta del luogo ove GRECO aveva attentato alla vita del rivale; luogo che ricadeva nella loro giurisdizione mafiosa e non in quella del locale di Calanna

Per di più, gli ARANITI avevano ormai stretto un’alleanza con PRINCI, preferito a GRECO perché più giovane e dinamico nella gestione degli affari condivisi tra i due “locali” limitrofi.

CHINDEMI, inoltre, riferiva che Domenico ARANITI gestiva i suoi interessi economici nel business dei rifiuti dell’impianto di Sambatello, tramite una società occultamente avviata con l’imprenditore F.B.

Le cointeresse economiche tra Domenico ARANITI e F.B. erano note a CHINDEMI perché egli stesso aveva lavorato nel cantiere di quest’ultimo, avendo però contrattato le sue prestazioni con il boss di Sambatello.

Aggiungeva il collaboratore che, per gli ARANITI, era stato più semplice raggiungere un accordo con PRINCI per la spartizione dei proventi della discarica di Sambatello. Peppe GRECO, infatti, pretendeva una quota del 50%, mentre con il PRINCI era stata realizzata
una mediazione al ribasso, ferma la possibilità per lo stesso PRINCI ed alcuni dei suoi uomini di lavorare all’interno dell’impianto.

Tale era il risentimento per quanto verificatosi, che Domenico ARANITI aveva chiesto a Pasquale CHINDEMI ed allo stesso PRINCI di uccidere Peppe GRECO.

Nel medesimo solco si inseriscono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore AIELLO, che a lungo è stato impegnato, quale manager aziendale, nel settore dello smaltimento dei rifiuti.

Nel corso dell’interrogatorio del 6 giugno 2019, AIELLO raccontava di essere stato contattato dalla società Engitech Tecnologies (dopo che la stessa aveva acquisito l’appalto per il ripristino funzionale dell’impianto per la selezione secco — umido e compostaggio dei rifiuti, in Sambatello, a partire dal 2000) e di avere acquisito la qualifica di “capo impianto”, come dipendente delle varie ditte susseguitesi nella gestione della discarica di Sambatello

Secondo il narrato dei predetti collaboratori, Domenico ARANITI e la ndrina da lui capeggiata condividevano, con la vicina cosca di Calanna, la possibilità di cooptare nell’impianto di Sambatello manodopera selezionata tra parenti o comunque tra soggetti contigui alle rispettive consorterie mafiose.

Quanto sopra emerge dalla lettura dell’ordinanza di custodia cautelare; tutto quanto in essa contenuto dovrà essere accertato processualmente, presumendosi l’innocenza dei soggetti indagati o, comunque, coinvolti nell’inchiesta, sino al pronunciamento di una sentenza definitiva.