'Operazione Ducale', anche la credibilità ha un prezzo. Ma il futuro di Reggio no

Si tira avanti, nel silenzio assordante della politica. Su Palazzo San Giorgio aleggia la Commissione d'accesso, dalle ripercussioni potenzialmente letali per Reggio. Dimissioni? No categorico

L’operazione Ducale si allarga e vede l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex senatore Giovanni Bilardi, dell’assessore comunale Mimmetto Battaglia e del consigliere comunale di opposizione Mario Cardia. In attesa di capire quali saranno gli sviluppi legati all’indagine, una riflessione è già possibile farla. Ducale macchia nuovamente l’immagine e la reputazione di una città che è già reduce da uno scioglimento per infiltrazione mafiosa.

Quanto emerso dall’ordinanza, svela un torbido intreccio tra politica e ndrangheta che (purtroppo) non è certamente una novità a queste latitudini, e che obbliga a rispolverare il concetto ormai sempre meno di moda di questione morale. “C’era una volta..”, si potrebbe dire parafrasando Sergio Leone, un codice etico all’interno del Partito Democratico. Ma della sua esistenza se ne sono perse le tracce, e non da oggi.

Il Pd esce male dall’Operazione Ducale: diversi gli esponenti dem iscritti nel registro degli indagati, a partire dal sindaco Falcomatà proseguendo con l’attuale capogruppo Giuseppe Sera e l’assessore Mimmetto Battaglia. Se si ripensa alla vicenda brogli elettorali e il presunto coinvolgimento dell’ex capogruppo Nino Castorina, si può riassumere che il Pd alle comunali reggine del 2020 è uscito si vittorioso alle urne, imponendosi al ballottaggio sul candidato del centrodestra Nino Mininuci, ma ad un prezzo altissimo se quanto emerso dall’inchiesta dovesse trovare riscontro.

E adesso cosa accadrà?

Il primo cittadino e l’intera maggioranza, sono stati chiarissimi: la richiesta di dimissioni del centrodestra è stata prontamente rispedita al mittente, si continua a governare la città (tra mille difficoltà e ritardi, basti pensare ai cantieri sospesi, l’emergenza idrica e l’invisibile Estate reggina) in attesa di capire quali saranno le evoluzioni dell’operazione Ducale.

Il consigliere comunale Mario Cardia, oggi nella Lega ma esponente di centrosinistra all’epoca delle scorse comunali (primo tra gli eletti della lista S’Intesi con oltre 1200 voti) nelle scorse settimane aveva invocato le dimissioni del sindaco Giuseppe Falcomatà.

“Ci dispiace per il Sindaco, dopo i recenti fatti di cronaca, siamo sempre più convinti che questo territorio vada liberato dal malaffare, da chi cerca scorciatoie, dalla mafia, non certamente da chi fa politica in maniera democratica e cerca di rappresentare al meglio i cittadini o da chi ambisce al suo progresso economico e sociale”, in sintesi quanto espresso nella nota congiunta dei consiglieri comunali della Lega Caridi, De Biasi, Minicuci, Neri e Cardia.

Dopo l’iscrizione di quest’ultimo nel registro degli indagati, gli stessi consiglieri e il segretario provinciale Recupero sono rimasti in silenzio, forte invece la presa di posizione di Nino Minicuci, che ha apertamente chiesto la sospensione dalla Lega di Cardia, con il diretto interessato che preferisce non rilasciare dichiarazioni e si è limitato alle seguenti parole: ‘In merito alle notizie riportate da alcune testate giornalistiche nella giornata di ieri, riferite all’operazione Ducale, preciso di non aver ricevuto alcuna notifica relativamente ad una presunta mia iscrizione nel registro degli indagati”.

Scelta, quella della sospensione, che non sembrano voler compiere gli esponenti del Pd, mentre in passato in occasione della vicenda brogli l’ex capogruppo dem Nino Castorina si comportò diversamente, sospendendosi dal partito. Stessa decisione compiuta qualche giorno fa dal capogruppo di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri: “La vicenda giudiziaria che, mio malgrado mi vede coinvolto, ha scosso profondamente me, la mia famiglia oltre che i tanti amici”, le sue parole.

Il possibile arrivo della commissione d’accesso che aleggia minacciosa sopra palazzo San Giorgio è un macigno che grava non tanto sulle spalle dell’amministrazione Falcomatà ma su quelle dell’intera città. La commissione infatti, nella quasi totalità dei casi, è prodromica allo scioglimento del comune, specie in presenza di accuse così gravi e pesanti. Sarebbe quella la definitiva mazzata per Reggio Calabria, che ancora sta faticosamente provando a rialzarsi dal precedente scioglimento e che stavolta ne uscirebbe completamente distrutta.

In questi giorni, temi decisamente più frivoli come il calcio ci insegnano ancora una volta che le dimissioni, atto nobile e pieno di dignità, rappresentano un gesto che in Italia raramente si pratica. Si preferisce volgere altrove lo sguardo, alla ricerca di altri responsabili: nascondersi dietro un dito il ‘Piano B’, ultima scappatoia utile ad evitare l’abbandono della poltrona.

Abbandono che avrebbe un valore morale e di attaccamento alla città inestimabile, ma che evidentemente ha anche un prezzo, rappresentato dai lauti stipendi (aumentati) di assessori e consiglieri comunali. Ma non dovrebbe esistere un prezzo, quando dall’altro lato dell’etichetta c’è il destino di Reggio Calabria.

In questo caso, a differenza del c.t. Spalletti e del presidente Figc Gravina, ad essere in bilico non è il destino della nazionale di calcio, la qualificazione o meno ad un mondiale. A rotolare non è un pallone su un prato verde, ma la credibilità della politica reggina, assieme ad ogni speranza di rilancio e il futuro della città che sarebbe segnato.

Sarebbe una colpa gravissima e imperdonabile, giudicabile soltanto dall’unico giudice sovrano e insindacabile: la storia.