‘Ndrangheta – Operazione Helianthus, i dettagli delle indagini

Le attività, ampliate nei mesi successivi alla cattura del boss, con l’ausilio di diversificate operazioni tecniche, consentivano di ricostruire l’organigramma della cosca Labate


Le indagini da cui scaturisce l’odierna operazione di polizia venivano avviate nel mese di maggio 2012 al fine di procedere alla cattura dell’allora latitante LABATE Pietro, leader carismatico e vertice indiscusso dell’omonima cosca, sottrattosi nell’aprile 2011 all’esecuzione del fermo di indiziato di delitto emesso dalla D.D.A. nei confronti di numerosi soggetti appartenenti alle cosche Tegano e Labate [Operazione “Archi”]. Il 12 luglio 2013, a culmine di un’intensa e laboriosa attività investigativa [supportata da molteplici intercettazioni telefoniche e ambientali e sistemi di video sorveglianza] il latitante veniva localizzato e arrestato dagli investigatori della Squadra Mobile nella zona vicina al torrente S. Agata di Reggio Calabria, mentre percorreva la strada a bordo di uno scooter.

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Le attività, ampliate nei mesi successivi alla cattura del boss, con l’ausilio di diversificate operazioni tecniche, consentivano di ricostruire l’organigramma della cosca Labate, ponendo al vertice LABATE Pietro e alla reggenza del clan – durante la sua latitanza – il fratello Antonino, coadiuvato dal cognato [di entrambi] CASSONE Rocco e dalle nuove leve LABATE Paolo classe 1982 [figlio di Pietro] e LABATE Paolo classe 1984 [figlio di Antonino], supportati da luogotenenti e affiliati nel compimento delle azioni delittuose.

L’esistenza e l’operatività del clan Labate trovavano pieno riscontro nel capillare controllo del territorio e nella gestione di attività economiche e commerciali, segnatamente nel settore alimentare ed edilizio, riconducibili ad affiliati o a compiacenti prestanomi, nonché nell’imposizione indiscriminata di estorsioni ad operatori economici e commerciali e ai titolari di piccole, medie e grandi imprese, in particolare nei confronti di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel comparto dell’edilizia privata nell’area ricadente sotto il dominio della consorteria mafiosa.

L’inchiesta portava altresì alla luce gli interessi del clan nel settore delle corse clandestine di cavalli e in quello dei giochi e scommesse on line.

Determinanti, ai fini dell’accertamento delle infiltrazioni dei LABATE nel tessuto di alcune attività economiche e commerciali locali, si erano rivelate le agende sequestrate il giorno della cattura a casa dell’indagato MARCELLINO Francesco, dove il latitante LABATE Pietro aveva trovato ospitalità, sulle quali il boss aveva annotato nomi di persona, importi e denominazioni di ditte, nonché le altre agende del reggente della cosca LABATE Antonino, sequestrate in un periodo successivo a casa degli indagati [coniugi] GALANTE Antonio e CANDIDO Caterina Cinzia, abitanti nello stesso stabile del boss a cui erano completamente asserviti.

Nel corso delle investigazioni venivano anche individuate 5 aziende operanti nel settore alimentare e della distribuzione di carburanti, controllate dalla cosca LABATE, di cui veniva chiesto il sequestro in quanto ritenute imprese mafiose.

Agli esiti acquisiti dalle molteplici attività investigative venivano ad aggiungersi gli importanti contributi di alcuni collaboratori di Giustizia, fra i quali quelli di G.M., DE ROSA Enrico e da ultimo quelli di LIUZZO Giuseppe Stefano Tito, nonché le dichiarazioni di rilevante portata accusatoria di affermati imprenditori reggini del settore edile ed immobiliare, sentiti da magistrati della D.D.A., vittime di pressanti attività estorsive consistenti nel pagamento ad alcuni esponenti del clan LABATE di ingenti somme di denaro (anche nell’ordine di 200 mila euro corrisposte a rate) o nell’imposizione dell’acquisto di beni presso attività commerciali riconducibili ad esponenti di rilievo della cosca.

L’indagine “Helianthus” coniuga diverse attività di un intenso e pluriennale lavoro investigativo portato avanti dalla Squadra Mobile sotto le direttive dei sostituti Procuratori della D.D.A. di Reggio Calabria Stefano MUSOLINO e Walter Ignazitto, con il fine di disarticolare la temibile cosca LABATE mediante un’efficace e unitaria azione di contrasto. L’ultima operazione che ha colpito la citata consorteria di ‘ndrangheta risale al 2007 e porta il nome di “Gebbione”. Fu condotta dalla Squadra Mobile ed ebbe il merito di aver ricostruito le linee di azione della cosca, che controllava – attraverso il sistematico ed asfissiante ricorso al taglieggiamento – pressoché tutte le attività commerciali ed imprenditoriali operanti appunto nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria.

In epoca successiva al 2007, la cosca LABATE era emersa in un’altra inchiesta [“Archi-Astrea”, le cui indagini furono condotte dalla Squadra Mobile], definita con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 20.6.2014, la quale, pur assolvendo i due imputati LABATE Pietro e LABATE Francesco Salvatore, riconosceva la perdurante operatività del sodalizio mafioso di appartenenza.

L’influenza della cosca LABATE nel panorama ‘ndranghetistico reggino ha sempre trovato   forza nei legami di sangue che uniscono i componenti di vertice ad altre potenti cosche attive sul territorio di questa provincia, fra le quali si ricordano le famiglie GARONFALO di Campo Calabro (RC) e IAMONTE di Melito di Porto Salvo (RC) e nei solidi rapporti di alleanza con famiglie mafiose dei tre mandamenti.

Oggi il clan LABATE è una potente articolazione della ‘ndrangheta unitaria che, nonostante l’arresto del membro più carismatico e rappresentativo (il capocosca indiscusso, Pietro LABATE) e la successiva carcerazione del fratello Michele LABATE, ha mantenuto inalterato il tradizionale “prestigio” nel territorio di competenza criminale (l’ampia area a sud della città di Reggio Calabria ed in particolare nel popoloso quartiere “Gebbione”), coltivando e rafforzando i rapporti e le alleanze criminali con altri storici “casati” di ‘ndrangheta e dimostrando anche un certo dinamismo criminale in relazione a “nuovi” settori illeciti (come quello della scommesse on line e della slot machines), riuscendo al contempo a mantenere intatto il core business delle attività illecite da sempre espressione dello strapotere mafioso dei “Ti Mangiu”, segnatamente rappresentate dal sistematico ricorso all’estorsione nei confronti di imprenditori, commercianti ed operatori economici in genere e (in minor misura) dallo sfruttamento delle corse clandestine di cavalli.

Come detto in precedenza, un ulteriore contributo sulla perdurante vitalità ed operatività della cosca LABATE, proviene recentemente dal neo collaboratore di giustizia LIUZZO Giuseppe Stefano Tito che ha confermato l’appartenenza degli indagati al sodalizio criminale “Ti Mangiu”, tracciandone i ruoli ricoperti all’interno del sodalizio.

Le dichiarazioni degli imprenditori e le propalazioni dei collaboratori di Giustizia, riscontrate dalle risultanze degli accertamenti svolti dalla Squadra Mobile, hanno consentito alla D.D.A. di Reggio Calabria di contestare l’associazione mafiosa e gravissimi episodi estorsivi, oltre che al boss LABATE Pietro anche a due elementi di spicco  della cosca, ovvero ASSUMMA Orazio, indicato dai collaboratori di Giustizia quale uomo di fiducia del capo clan e FOTI Domenico detto “Vecchia Romagna”, anch’egli fedelissimo dei LABATE.

Con l’odierna ordinanza di custodia cautelare, agli indagati LABATE Pietro, LABATE Antonino, CASSONE Rocco, GALANTE Antonio, CANDIDO Caterina Cinzia, GAMBELLO Santo, LABATE Paolo classe 1982 (figlio di LABATE Pietro), LABATE Paolo classe 1984 (figlio di Antonino), MORABITO Fabio, MARCELLINO Francesco, ASSUMMA Orazio, FOTI Domenico, è stato contestato il delitto di associazione mafiosa, per aver fatto parte della struttura organizzativa visibile della ‘ndrangheta (unitaria), ed in particolare della sua articolazione territoriale denominata cosca “LABATE” (“Ti Mangiu”) in prevalenza operante nel quartiere Gebbione del Comune di Reggio Calabria, con i seguenti ruoli:

  • LABATE Pietro, in qualità di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione; anche durante la latitanza e la detenzione in carcere;
  • LABATE Antonino, in qualità di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione;
  • CASSONE Rocco, in qualità di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione;
  • ASSUMMA Orazio, in qualità di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione;
  • FOTI Domenico, in qualità di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione;
  • LABATE Paolo cl. 82, in qualità di partecipe e collaboratore di LABATE Pietro e LABATE Antonino;
  • GALANTE Antonio, in qualità di partecipe e principale collaboratore di LABATE Antonino,;
  • CANDIDO Caterina Cinzia, in qualità di partecipe, forniva costante collaborazione (unitamente al marito GALANTE Antonino) a LABATE Antonino;
  • GAMBELLO Santo, in qualità di partecipe e collaboratore di LABATE Antonino;
  • LABATE Paolo cl. 84, in qualità di partecipe e collaboratore di LABATE Antonino;
  • MORABITO Fabio, in qualità di partecipe e collaboratore di LABATE Antonino;
  • MARCELLINO Francesco, in qualità di partecipe, forniva continua assistenza logistica a LABATE Pietro durante la sua latitanza.

A LABATE Antonino, GAMBELLO Santo, MORABITO Fabio, MINUTO Santo Antonio è stato contestato il delitto di estorsione aggravata per aver costretto due commercianti a non aprire un negozio di pescheria tra Viale Aldo Moro e Piazza della Pace di Reggio Calabria, imponendo loro di individuare una diversa zona ove avviare l’attività commerciale.

A LABATE Pietro e ASSUMMA Orazio, è stato contestato il delitto di estorsione aggrava per aver costretto un imprenditore, impegnato nella realizzazione di un complesso immobiliare sul viale Aldo Moro di Reggio Calabria, a pagare a titolo di “pizzo” la somma di € 200.000,00 [versata in più tranches tra il 2013 ed il 2015], nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio riconducibile all’indagato ASSUMMA Orazio.

A FOTI Domenico è stato contestato il delitto di estorsione aggrava, per avere costretto due imprenditori, impegnati nella realizzazione di un complesso immobiliare nella via Torricelli Ferrovieri/San Pietro di Reggio Calabria, a pagare a titolo di “pizzo” la somma di € 20.000,00 [versata, tra il 2017 ed il 2018, in quattro tranches da € 5.000,00 ciascuna e costituente parte della maggior somma di € 30.000,00 complessivamente richiesta], nonché ad acquistare materiale edile presso colorificio riconducibile all’indagato ASSUMMA Orazio.

Ad ASSUMMA Orazio e PRATESI Domenico, è stato contestato il delitto di estorsione aggrava per aver costretto – avvalendosi della collaborazione di PRATESI Domenico [appartenente alla cosca LIBRI] che fungeva da intermediario e organizzatore di un incontro – un imprenditore impegnato nell’edificazione di un complesso immobiliare nel viale Messina/adiacenze Piazzale Botteghelle di Reggio Calabria, a versare a titolo di “pizzo” la somma di € 50.000,00 [prima tranche della più ampia somma di € 150.000,00, costituente l’importo complessivamente richiesto], nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio nella disponibilità di ASSUMMA Orazio.