‘Ndrangheta, le ‘confessioni’ del pentito Bilardi: ‘Non sono nato mafioso’

Tra le rivelazioni più importanti, quelle inerenti l'agguato a Baggetta: "Pagati 10mila euro per gambizzarlo"


C’è la volontà di costruire “un futuro diverso per mia figlia e la mia famiglia” alla base del pentimento di Davide Bilardi, una delle figure emergenti all’interno della ‘Ndrangheta reggina. Durante gli interrogatori, avvenuti nel corso di tutta l’estate 2024, con i pm, Bilardi ha espresso apertamente il desiderio di lasciarsi alle spalle una vita fatta di scelte criminali e violenza, per abbracciare un percorso di collaborazione con la giustizia.

Un percorso che potrebbe aprire scenari inaspettati e minare le fondamenta stesse delle cosche che da decenni controllano il territorio.

Ma chi è davvero Davide Bilardi e cosa lo ha spinto a diventare un collaboratore?

Il legame con Paolo Schimizzi e la famiglia Tegano

Conosciuto nell’ambiente come uomo di fiducia di Paolo Schimizzi, figura di spicco della criminalità organizzata a Reggio Calabria, Bilardi non ha mai fatto parte dei ranghi più alti della ‘Ndrangheta. Non è mai stato formalmente “battezzato” nell’organizzazione, ma ciò non ha impedito la sua profonda immersione negli affari illeciti.

“Non sono nato mafioso. Ho fatto scelte sbagliate di cui ora comprendo il disvalore”, ha dichiarato Bilardi, sottolineando come la sua adesione all’ambiente criminale sia stata frutto di errori giovanili, aggravati dalla vicinanza a Schimizzi e ad altri esponenti della ‘Ndrangheta.

Bilardi non si limita a dichiarare il suo distacco dall’organizzazione, ma fornisce dettagli significativi sui rapporti che lo legavano alla famiglia Tegano, una delle cosche più influenti di Reggio Calabria.

“Pur essendomi originariamente inserito nel contesto criminale arcoto, ed in particolare, in quello riconducibile alla famiglia Tegano – ha spiegato – ho sempre avuto un profondo legame con Totò Libri ed Edoardo Mangiola, esponenti apicali della cosca Libri”.

Con queste parole, Bilardi chiarisce come i suoi legami non si limitassero solo a una fazione, ma si estendessero trasversalmente alle principali famiglie della ‘Ndrangheta reggina.

Nel corso degli interrogatori, Bilardi ha fatto riferimento all’ordinanza custodiale emessa nel contesto del procedimento noto come “Atto Quarto“.

“Ho letto, ovviamente, l’ordinanza custodiale emessa dal GIP nel procedimento c.d. Atto Quarto, essendo io uno dei destinatari. Ma le mie conoscenze nascono, anche, da quanto ho direttamente verificato nella mia esperienza e da quanto riferitomi da altri rappresentanti della ‘Ndrangheta reggina”, ha dichiarato, confermando così l’ampia portata delle sue informazioni e il loro potenziale devastante per l’organizzazione.

Bilardi ha poi raccontato di aver giocato un ruolo attivo nella rete di supporto durante la latitanza di Giovanni Tegano, uno dei boss storici della ‘Ndrangheta reggina.

“Ricordo di avere aiutato, ad esempio, Paolo Schimizzi per ‘spostare’ Giovanni Tegano durante la sua latitanza – ha ammesso. Nonostante la sua collaborazione nelle operazioni più delicate, Bilardi ha sottolineato di non essere mai stato coinvolto direttamente in estorsioni, ma di essersi limitato a compiere danneggiamenti su richiesta di Schimizzi.

Non ero preposto a commettere estorsioni“, ha specificato, cercando di chiarire il suo ruolo all’interno della cosca. Tuttavia, il suo coinvolgimento nelle attività criminali è innegabile e le sue dichiarazioni rappresentano una risorsa preziosa per gli investigatori, soprattutto per quanto riguarda la rete di affari illeciti legati alle scommesse, un settore in cui Bilardi agiva come intermediario tra le famiglie Tegano e Libri.

“Domenico Tegano mi presentò Totò Libri dicendomi che era come fosse suo fratello ed erano una cosa sola”, ha spiegato, evidenziando la complicità tra le due famiglie nel controllo del territorio e delle attività illecite.

L’agguato a Antonio Baggetta: un favore personale

Tra le rivelazioni più importanti, fornite dal neo collaboratore di giustizia, vi sono quelle inerenti l’agguato avvenuto il 17 maggio 2017 ai danni di Antonio Baggetta.

Bilardi ha spiegato che era venuto a conoscenza di questa vicenda tramite Edoardo Mangiola, che gli aveva confidato come Domenico Sartiano, un elettricista e amico fraterno di Mangiola, avesse chiesto un “favore” per vendicarsi di Baggetta. La motivazione dell’agguato era legata alla relazione che Baggetta aveva intrapreso con l’ex moglie di Sartiano. Quest’ultimo, deciso a farsi giustizia, aveva pagato 10.000 euro per farlo gambizzare, evitando però di ucciderlo.

Bilardi ha aggiunto che Mangiola, ben noto nell’ambiente criminale per la sua abilità con le armi, accettò l’incarico e agì insieme a Tonino Porcino. Tuttavia, Totò Libri, figura apicale della cosca Libri, si rifiutò di partecipare all’agguato, temendo di essere arrestato.

“Libri giustificò la sua assenza sostenendo che, se fossero stati catturati, la cosca Libri sarebbe rimasta sguarnita dei suoi dirigenti”, ha spiegato Bilardi, sottolineando come Mangiola avesse criticato duramente questa scelta, considerandola una dimostrazione di debolezza da parte di Libri.

Bilardi ha inoltre evidenziato il profondo legame tra Mangiola e Tonino Porcino, entrambi coinvolti nei traffici di droga, mostrando come l’agguato non fosse solo un atto di vendetta personale, ma parte di una complessa rete di relazioni e interessi criminali. Questi dettagli aggiungono ulteriore chiarezza sulla dinamica interna alla ‘Ndrangheta, dove vendette personali e scelte strategiche si intrecciano con il controllo del territorio e dei traffici illeciti.

Un pentimento che cambia gli equilibri?

La decisione di Bilardi di collaborare con la giustizia non è stata priva di tormenti.

“Ormai da diversi mesi stavo maturando la volontà di collaborare con la giustizia“, ha rivelato, aggiungendo che la scelta è stata fortemente influenzata dalla preoccupazione per il futuro della sua famiglia. Con una moglie incinta e una figlia, Bilardi ha compreso che il percorso che aveva intrapreso lo avrebbe portato solo a conseguenze drammatiche, non solo per sé, ma anche per i suoi cari.

“Ribadisco che ho deciso di collaborare con l’Autorità giudiziaria perché intendo superare gli errori del passato e voglio dare un futuro diverso a mia figlia e alla mia famiglia”, ha concluso.

La sua scelta segna l’inizio di un percorso che potrebbe aprire nuove prospettive per le indagini sulla ‘Ndrangheta, mettendo a nudo legami e affari finora rimasti nell’ombra. Le sue dichiarazioni forniscono una visione interna delle dinamiche dell’organizzazione e potrebbero contribuire a colpire la criminalità organizzata locale.