La salute mentale e i suoi disturbi: il terrore psicologico nell’ambiente lavorativo

Distinguere il vero mobbing da altre forme di disagio lavorativo è fondamentale: l’aiuto psicologico e la terapia possono prevenire ulteriori disturbi mentali. L'approfondimento della psicoterapeuta

mobbing

Negli anni ’90, Heinz Leymann, psicologo del lavoro e ricercatore svedese, ha condotto un’ampia serie di studi su diversi gruppi professionali, focalizzando la ricerca sul fenomeno del terrore psicologico nell’ambiente lavorativo, noto come mobbing. Tale concetto si riferisce a un’aggressione sistematica in un contesto cruciale per il benessere individuale, ovvero il lavoro, la competenza professionale e la dimensione sociale dell’individuo. Questa sorta di Taleterrore psicologico” consiste in una serie di azioni reiterate nel tempo, compiute da aggressori (mobber), che mettono in atto strategie relazionali e comportamentali mirate alla distruzione psicologica e professionale di un individuo che ricopre il ruolo di “vittima designata”. Attraverso l’uso di espressioni apparentemente innocue, allusioni sottili, insinuazioni implicite, silenzi ambigui e comunicazioni non verbali, è possibile indurre uno stato di destabilizzazione psicologica in un individuo, compromettendone profondamente l’equilibrio emotivo e mentale. Le ricerche documentano chiaramente, che il mobbing può colpire chiunque, in qualsiasi momento, indipendentemente da fattori come l’età, il carattere, la posizione sociale e professionale. Sifatta modalità di comportamento, tesa ad aggirare le difese psicologiche dell’individuo può essere suddivisa in varie fasi. 

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 La condizione zero: non è altro che il clima aziendale, che mostra di per sé, caratteristiche conflittuali e di tensione. Questo è il terreno fertile e predisponente, l’humus per lo sviluppo del fenomeno.                     

I° Fase (Identificazione della vittima):    Le vittime sono donne che hanno annunciato uno stato di gravidanza o di maternità, oppure dipendenti che si oppongono a un trasferimento, altre da poco introdotte nell’ambiente lavorativo. Sono di solito persone scrupolose, preparate, perfezioniste, impeccabili nello svolgimento del lavoro con una buona capacità di resistere all’autoritarismo per cui si oppongono a ogni forma di subordinazione che neghi la loro libertà di autodeterminarsi; hanno spesso un livello di studi e di preparazione più elevato, rispetto a quello del superiore.

II°Fase (Aggressione): Identificata la vittima, si attuano strategie relazionali perverse, in modo da aggirare le prime difese psichiche del soggetto, impedendone la reazione. Una volta che il mobber (colui che mobbizza) ha individuato i punti deboli, tende a colpire la persona ripetutamente. Il perseguitato comincia a soffrire, nella completa mancanza di consapevolezza da parte dei colleghi.  Le strategie relazionali  attivate dall’aggressore sono alquanto varie e complesse:                 

Isolare: si cerca di fare il vuoto intorno alla vittima, ignorandone la presenza, non convocandola alle riunioni, privandola di informazioni, non passandogli più lavoro, non invitandola a prendere il caffè.

Squalificare: ci si serve della comunicazione non verbale ad esempio sospiri esagerati, alzate di spalle, sguardi di disprezzo, non detti, e si fanno allusioni destabilizzanti e osservazioni sgarbate. Screditare: ridicolizzare, umiliare, coprire di sarcasmo, affibbiare un soprannome, rimproverare in pubblico, calunniare, beffarsi di una debolezza o di un insuccesso, mentire.

Angariare: affidare incarichi degradanti (demansionamento) creare lavori improvvisi e urgenti ad hoc non necessari, disprezzare il lavoro svolto, indurre all’errore, per poi poter criticare. Rifiutare la comunicazione diretta: si nega il chiarimento; non si accetta di discutere del conflitto; si evita il confronto per impedire una possibile soluzione. Negando il problema si nega l’altro. 

vincenzo logoteta psicoterapeuta

III° Fase (Distruzione psicologica): La “vittima designata” inizia a manifestare una crisi di identità lavorativa, di identità personale, senso di profonda sfiducia, dubbi (forse sono io la causa dei problemi), calo dell’autostima, senso di colpa, di vergogna, depressione fino in alcuni casi giungere al suicidio.     

IV° Fase (Lo stress): Tutto questo crea una situazione di stress continuo che peggiora lo stato di salute. Il mobbing ha un effetto devastante, perché essendo una manipolazione perversa, aggira subdolamente le difese psicologiche e colpisce l’individuo ripetutamente impedendogli di reagire. Inoltre si crea un circolo vizioso dove il mobbing crea stress,  lo stress accentua il mobbing e la persona va più facilmente incontro ad errori nello svolgimento della stessa attività lavorativa. 

Quale soluzione? E’ necessario distinguere il vero mobbing dalla simulazione, da altre circostanze lavorative fonte di stress, dal burn-out, dai molteplici vissuti autoreferenziali e persecutori di numerosi individui, (tratti paranoidi con manie di persecuzione), portati a dare significato di mobbing a situazioni che di fatto sono soltanto regolamenti riguardanti l’organizzazione del lavoro. Successivamente, riconosciuto il problema sarà opportuno interrompere l’attività lavorativa, intraprendere eventuale terapia farmacologica e psicoterapica al fine di ridimensionare la sofferenza psichica che, non trattata, può favorire l’insorgenza di ulteriori disturbi mentali.