L’assedio del Castello normanno di Stilo: fra storia e leggenda
09 Luglio 2017 - 15:57 | di Eva Curatola
Conosciamo la nostra terra, ne conosciamo i profumi, i luoghi, ma non sempre conosciamo i meravigliosi miti e le misteriose leggende che avvolgono la Calabria.
Eccoci ad un nuovo appuntamento della rubrica #MitiDiCalabria, nata per raccontarvi le più famose leggende che fanno parte della nostra terra.
Oggi vi portiamo a Stilo, comune italiano di 2.655 abitanti della città di Reggio Calabria, inserito nel circuito de “I borghi più belli d’Italia“. Qui sorge il Castello di Stilo o semplicemente Castello normanno, antico edificio di epoca normanna costruito da Ruggero II di Sicilia sul Monte Consolino nell’XI secolo, attorno al quale ruotano numerose leggende.
Correva l’anno 982, quando il califfo arabo Ibrahim Ibn Ahmad partì dalla Sicilia alla ricerca di nuove conquiste nella Calabria bizantina. Quando giunse in prossimità del paesino di Stilo, fu avvistato dagli abitanti della zona che, per ordine del “granduca”, su suggerimento di San Giorgio, protettore del borgo, si rifugiarono all’interno delle impenetrabili mura del castello normanno.
Il califfo turco considerando la pressoché inaccessibilità del castello, avendo una sola via di accesso stretta e angusta, percorribile da una persona alla volta, in fila indiana, decise di assediarlo e attendere di poterlo conquistare “per fame” quando le provviste si sarebbero esaurite.
Un’idea semplice che nasconde in sè del geniale e malvagio. Arrivò infatti ben presto il momento in cui le provviste all’interno del castello cominciarono a scarseggiare, e proporzionalmente aumentava la preoccupazione per la resa.
Il granduca, nella disperazione del momento, astutamente, tentò uno stratagemma per far desistere il nemico dal suo intento di conquista. Fece raccogliere il latte alle donne che avevano avuto dei figli da poco e con lo stesso fece fare una grossa ricotta che sparò contro gli Arabi appostati fuori le mura.
Gli invasori si convinsero così che nel castello avessero grandi riserve di cibo se si permettevano il lusso di usarlo come proiettile contro il nemico e quindi l’assedio si sarebbe protratto ancora per molto tempo.
Aneddoto buffo della vicenda è che il califfò mangiò la ricotta che era stata usata dai nemici come arma, ammalandosi di dissenteria che, erroneamente curata con decotti di salvia dai suoi medici, peggiorarono ulteriormente la malattia. A prendere il comando dell’esercito musulmano fu il nipote del califfo, Gabir, che decise di rimuovere l’assedio al castello e battere in ritirata.
Il luogo in cui la ricotta che permise di liberare il castello dall’assedio Arabo fu chiamato “Vinciguerra”, denominazione tutt’oggi esistente.