L’Anassilaos omaggia Don Lorenzo Milani


Il pensiero pedagogico di Don Lorenzo Milani (1923-1967) sarà il tema della conversazione, promossa  dall’Associazione Culturale  Anassilaos, che la prof.ssa Francesca Neri terrà martedì 10 aprile alle ore 17,30 presso la Sala di San Giorgio al Corso. Sacerdote “scomodo” Don Milani entrò in seminario a Firenze nel 1943. Fu ordinato sacerdote nel 1947. Fino al 1954 esercitò le funzioni di  cappellano coadiutore a San Donato di Calenzano dove aprì una scuola popolare. Successivamente trasferito  a Barbiana, vi fu priore e si dedicò fino alla morte a fare scuola per i ragazzi del paese. Don Raffaele Bensi, che è stato padre spirituale di Don Milani e al quale  “hanno attinto in quegli anni le figure più alte del cattolicesimo fiorentino, così vivo attorno alla metà del secolo scorso, sotto il paterno ministero del venerabile Cardinale Elia Dalla Costa” (Papa Francesco) in una intervista concessa a  Nazzareno Fabbretti, sulla  Domenica del Corriere del  27 giugno 1971 ha così parlato di Don Lorenzo  “Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire”. Duro come un diamante Don Lorenzo apparve fin da subito controcorrente così da incorrere anche nelle censure del Sant’Uffizio. La sua prima opera “Esperienze pastorali” del 1958 fu ritirata pochi mesi dopo la sua pubblicazione perché ritenuta “non opportuna”. Nel 1965 rispondendo ai  cappellani militari della Toscana che protestano contro l’ obiezione di coscienza  ritenuta “espressione di viltà” Don  Lorenzo Milani pubblicò  uno  scritto in difesa dell’obiezione di coscienza   che gli procura una denuncia e un processo per apologia di reato. Nel 1967 – poco prima della morte – pubblica “Lettera a una professoressa”   redatta in collaborazione con gli allievi della scuola di Barbiana, che costituisce la base del suo pensiero pedagogico e per il movimento studentesco del 1968 un testo fondamentale   per criticare l’ordinamento scolastico e universitario vigente al tempo nel nostro Paese. “La scuola – ha affermato Papa Francesco nel suo discorso a Barbiana del 20 giugno dello scorso anno –  per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo… Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole”. Negli anni successivi alla scomparsa e soprattutto dopo le esperienze del 1968 la pedagogia di Don Milani è stata oggetto di una critica stringente (per esempio da parte dello scrittore Giuseppe Vassalli) e ci si chiede quanto essa abbia contribuito a disarticolare la scuola italiana  sconvolgendo i programmi di insegnamento, togliendo  valore al merito, e disincentivando gli insegnanti. La scuola disegnata da Don Lorenzo Milani e fatta propria dal 1968 e dalla riforme successive non ha forse  danneggiato le classi meno privilegiate e gli  studenti poveri che soltanto nel titolo di studio, conseguito con fatica e sacrifici, potevano trovare una leva di riscatto sociale?  Di Don Milani resta comunque la dimensione sacerdotale ricordata da Papa Francesco. “La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito”… la presenza del Vescovo di Roma –  ha detto il Papa – “non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani  ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa”.