La salute mentale e i suoi disturbi: senilità e depressione

Dalla tragedia della vecchiaia in Dorian Gray alle speranze di Jung: la terza età non è solo declino, ma anche un tempo di significato, seppur fragile

Prof Rocco Zoccali

Ne “Il ritratto di Dorian Gray” Oscar Wilde dà una lettura tragica della vecchiaia:

“Com’è tragico – mormorò Dorian Gray, gli occhi fissi sul suo ritratto – com’è tragico! Io diventerò vecchio, brutto, ripugnante. E questa immagine rimarrà sempre giovane. Giovane quale io sono in questa giornata di giugno. Oh, se si potesse realizzare il contrario! Se io dovessi rimanere sempre giovane e il ritratto diventasse vecchio! Per questo, per questo, darei qualunque cosa! Darei la cosa più preziosa del mondo! Darei anche la mia anima per questo”.

Di contro C.G. Jung sempre in merito alla vecchiaia scrive:

“L’uomo non raggiungerebbe di certo i settanta e gli ottant’anni, se questa durata della vita non corrispondesse al senso della sua specie. Così il pomeriggio della vita deve parimenti avere il suo proprio significato e il suo scopo, e non può essere una misera appendice del mattino”.

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Anche se la senilità “non può essere una misera appendice del mattino”, in una società incentrata sulla bellezza, il successo e la competizione, il sopraggiungere della vecchiaia suscita vissuti di inutilità, dal momento che porta con sé una serie di cambiamenti fisici, sensoriali, cognitivi, emotivi e sociali. L’invecchiamento è accompagnato da un sentimento estraniante che tende a rompere il senso di continuità del sé: ci si guarda allo specchio e ci si rende conto di una frattura tra l’Io che è stato giovane e la disarmante immagine psico-fisica attuale.

Per James Hillman la terza età può essere interpretata in termini pessimistici o ottimistici. Nel primo caso

“… precipitiamo nell’infelicità … ossessionati già a cinquant’anni dal pensiero del declino fisico e mentale” nel secondo caso “neghiamo ottimisticamente la verità vera con eroici programmi di crescita spirituale e di mantenimento della forma fisica”.

Hillman comunque evidenzia come le entrambe visioni hanno un denominatore comune:

“La vecchiaia è un’afflizione. Eccola la verità vera: che tu la debelli o che vi soccomba, la vecchiaia è per sua natura inconfutabilmente solitaria, indigente, maligna e, soprattutto lunga. Ci sembra di vederci paralizzati dalla povertà, scaricati in una squallida casa di riposo, muti e maleodoranti, in attesa della fine”.

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Quanto sopra richiama alla mente lo scritto, di Publio Terenzio Afro (160 a.C.): “Senectus ipsa est morbus”.

Se oggi, però, è acclarato che la senilità non è patologia, certamente, come sostenuto da Guggenbuhul-Craig,  “è molto difficile decidere se sia una benedizione o una vera calamità”, preso atto che il soggetto vive la stagione delle perdite. Nel suo divenire l’anziano va incontro fatalmente al decadimento fisico e cognitivo, alla perdita del ruolo sociale, delle persone care, delle relazioni più o meno significative. Il suo vissuto oscilla tra due poli: da un lato le perdite, dall’altro i meccanismi di difesa o adattativi (ironia, razionalizzazione, sublimazione, afflizione, formazione reattiva ecc.) che gli consentono di contrastare la demoralizzazione e di dare significato e motivazione al periodo della vita che va verso il tramonto.

È in questa terra “liminale” che va trovata quindi la chiave di lettura dell’esistenzialità del soggetto anziano obbligato al cambiamento, alla riorganizzazione del proprio esistere, in qualche modo del proprio “essere nel mondo”. Certamente una “depressione psicologica” che chiameremo “demoralizzazione”, correlata alle continue perdite, può di frequente costellare il suo vissuto dal momento che i meccanismi adattativi e di difesa sono sempre più messi in crisi dallo scorrere del tempo e può trovare nella psicoterapia un valido aiuto. In tale contesto, come scritto da Borgna

“può nascere improvvisa la consapevolezza della precarietà e della inadeguatezza delle nostre azioni e … la tristezza (depressione esistenziale) ci fa recuperare valori che, prima della sua presenza, non coglievamo e non avvertivamo”.

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Quando tale tristezza/demoralizzazione declina verso la patologia depressiva? Nell’anziano la diagnosi di depressione può risultare particolarmente complessa preso atto che la sintomatologia può sovrapporsi in parte alla stessa demoralizzazione e vi è la tendenza a considerare la condizione depressiva intrinseca all’invecchiamento. La patologia depressiva si differenzia dalla demoralizzazione sia in termini dimensionali che qualitativi. Nella depressione si perde il correlato psicodinamico, funzionale con gli eventi di perdita; il fattore neurobiologico, sotteso dalla vulnerabilità genetica, diventa il core dell’espressione clinica. Il soggetto perde interesse o piacere per quasi tutte le attività, accusa marcato rallentamento o agitazione psicomotoria, disturbi del sonno, dell’appetito, difficoltà di concentrazione, pensieri di colpa o di morte. In tale contesto è necessario e urgente intervenire con terapie appropriate quali l’uso di psicofarmaci, della Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva oltre ovviamente a contenere, per quanto possibile, i fattori ambientali patogenetici quali la solitudine, la mancanza di accudimento e di relazioni affettive. Tutto ciò richiama alla mente quanto scritto da Eugenio Borgna in “Il fiume della vita”:

“Ogni volta mi chiedo: se il destino non mi avesse consentito di non entrare in una casa di riposo, come avrei potuto salvarmi dalla solitudine e dal silenzio, dal male di vivere e dalla inerzia , o infine dalla disperazione?”.