Novecento: la leggenda del pianista sull’oceano

Novecento sa di Jazz, ma anche di mare, sa di canzone popolare italiana e irlandese, sa di ballata e valzer insieme. Sa di gioia per le speranze attese e di perdita per ciò che non ritornerà


“Ladies and Gentlmen, meine Damen und Herren, Signore e Signori… Mesdames e Messieurs, benvenuti su questa nave, su questa città galleggiante che assomiglia a tutto e per tutto al Titanic, calma, state seduti, il signore laggiù si è toccato, l’ho visto benissimo, benvenuti sull’Oceano…”

Buon pomeriggio lettori! Pronti a partire? #insidethebook ha in serbo per voi un viaggio particolare, si andrà a New York e in Europa, si andrà dappertutto e in nessun posto, su e giù per l’Oceano, perché sarà quella la nostra meta di oggi, il mare. Alessandro Baricco ci regala un altro piccolo tesoro, questa volta le sue intenzioni sono ben altre, Novecento nasce, non come un romanzo, ma come un monologo teatrale.

Scritto nel 1994 per essere interpretato da Eugenio Allegri, con la regia di Gabriele Vacis, debutta nello stesso anno al festival di Asti, ma come tutte le belle storie, soprattutto se è Baricco la mente dell’opera, si sentirà la necessità di diffonderla, scriverla, amarla. Ed ecco che arriva a noi il resoconto dell’emozionante vita , del tutto atipica, del pianista più grande che l’Oceano e in un certo senso anche la terra, abbiano mai conosciuto: Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, un uomo nato, vissuto e morto sul piroscafo Virginian, senza mai metter piede sulla terraferma!

“Una lunga storia…Lui diceva: Non sei fregato veramente finché non hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla. Lui l’aveva una… buona storia. Lui era la sua buona storia. Pazzesca, a ben pensarci, ma bella… E quel giorno, seduto su tutta quella dinamite, me l’ha regalata.”

A parlare è il più grande amico di Novecento, un ragazzo salito sul Virginian piuttosto giovane e rimasto sul piroscafo per sei anni. Cosa ci fa un uomo su una nave per così tanto tempo se non è un marinaio? Suona ovviamente. L’amore per la musica li ha fatti incontrare e, da quel momento in poi, le loro vite si sono legate in modo indissolubile. Forse è il mare che ci getta dentro tutta questa magia nelle persone, un po’ come noi, che viviamo a due passi da lui e non riusciamo a pensare di separarcene per lungo tempo; lo abbiamo dentro quel sale e quel blu profondo, a volte azzurro, a volte torbido, a volte semplicemente lo specchio dei nostri ricordi. È bello pensare che non siamo le uniche “vittime” di questo incantesimo, il mare ha potere sugli uomini in ogni dove, il piroscafo Virginian, con tutte le vite che ha visto scorrere, ne è l’esempio.

C’era chi tornava in America dopo un viaggio di lavoro, c’era chi andava a fare fortuna, c’era chi era già ricco e voleva concedersi una semplice vacanza, e poi c’era lui, Danny Boodmann, un semplice marinaio. Un giorno trovò uno scatolone sul pianoforte della prima classe, c’era un bambino dentro, roba da poveri pensò, qualche emigrante avrà partorito in terza classe e avrà pensato che una bocca in più da sfamare non poteva permettersela, la soluzione migliore era destinarlo alla prima classe, qualche riccone l’avrebbe trovato e l’avrebbe preso con se. Ma il destino ha i suoi piani e non sempre coincidono con i nostri. Danny Boodmann guardò quella nuova vita davanti a sé, si sentì padre. Per la prima volta si sentì completo. Lo chiamò col suo stesso nome: Danny Boodmann, aggiunse  “T.D.” e  “Lemon” perché erano le iniziali e il nome che aveva trovato nello scatolone in cui giaceva quella nuova vita, ma aveva bisogno di un qualcosa in più che lo contraddistinguesse dal resto, un nome che lo avrebbe destinato a qualcosa di più grande, gli venne l’idea bizzarra di chiamarlo come il secolo appena iniziato: Novecento.

Novecento crebbe senza mai scendere da quella nave, il padre temeva che glielo portassero via e lo custodiva gelosamente tra le onde dell’Oceano, almeno finché fu in vita. Aveva otto anni quando divenne orfano per la seconda volta, ma il mare, quello almeno non lo abbandonò mai. Era la sua casa, l’unico luogo al mondo in cui si sentiva amato e al sicuro, ma soprattutto, l’unico luogo al mondo in cui si sentiva completamente libero di creare la musica più spiazzante e meravigliosa che qualsiasi orecchio umano avesse mai sentito.

Nessuno capì mai da dove avesse preso tutta quell’arte che gli scorreva in corpo, c’era da rimanerci secchi quando iniziava a suonare, forse era semplicemente un dono e lui era riuscito a scoprire, già in tenera età, a cosa avrebbe dedicato la sua vita. Faceva avanti indietro su quella nave, faceva avanti indietro perfino sul pianoforte. Quando c’era una tempesta, una di quelle terribili che  ti fa maledire il momento in cui hai deciso di salire su un piroscafo in mezzo al mare, lui completamente tranquillo, per nulla scosso neppure dal trambusto delle onde, come se lievitasse invece di camminare, assorto nell’alone di mistero che si portava con sé dalla nascita, si dirigeva con fermezza al pianoforte, toglieva i blocchi e iniziava a fare su è giù per la sala. Non aveva paura di infrangersi contro le vetrate, era come se, la sua musica, guidasse il movimento dello stesso pianoforte. Era folle. Era magico.

La leggenda del pianista sull’Oceano fece il giro del mondo, molti affrontavano il lungo viaggio sul Virginian solo per godere di quelle melodie inverosimili: “Non esisteva quella roba prima che la suonasse lui, okay? Non c’era da nessuna parte. E quando lui si alzava dal piano, non c’era più… e non c’era più per sempre… “

Sapete non sono mai stata brava a suonare, l’ora di musica a scuola era un delirio, forse quel maledetto flauto non mi ha di certo aiutata, ma io proprio non riuscivo a emettere note udibili, solo stridii e fischi (uno spettacolo tremendo, lo ammetto!), quindi pur amando la musica e piangendo a fontana ascoltando Allevi, non ho idea di come si emetta una nota orecchiabile. Vi starete chiedendo cosa centra con Novecento, è semplice, Baricco ha la capacità di descrivere e narrare così dettagliatamente e con così tanto emozionante trasporto, il modo in cui Novecento crea musica dal nulla, che anche io che non sono mai riuscita a mettere due note in fila, leggendo, sento nelle orecchie un susseguirsi di note inverosimili. Non saprei descrivervi il genere, è qualcosa che va oltre il normale repertorio musicale di qualsiasi artista.

Novecento sa di Jazz, ma anche di mare, sa di canzone popolare italiana e irlandese, sa di ballata e valzer insieme. Sa di gioia per le speranze attese e di perdita per ciò che non ritornerà. Sa di paesi mai visti, ma vissuti dai ricordi dei viaggiatori che incontrava sul Virginian, sa di occhi di donne e uomini, bambini e marinai. Sa di prima e terza classe, forse la terza di più, perché i poveri sono più liberi e non badano alle etichette, in un certo senso, non lo sanno ma sono fortunati a non potersele permettere, perché se non hai limiti puoi aspirare a essere infinito. Sembrerà folle, ma io una musica così, con tutto il mondo dentro, cullato dal mare su una nave che si chiama Virginian, l’ho sentita davvero e l’ho amata davvero. Ancora una volta Alessandro Baricco riesce a lasciarmi senza fiato. Quest’uomo è un mago, un giocoliere di parole! Crea storie uniche, così come Novecento crea melodie ineguagliabili, probabilmente ha creato una sorta di suo surrogato musicale, entrambi ci fanno riflettere e sognare.  Non è solo l’ideale della musica migliore del mondo che ci regala, ma anche la facoltà di stupirci ancora, di scoprire, di assaporare tutto ciò che ci accade da due prospettive. Per esempio, l’unica volta che Novecento ha accarezzato l’idea di scendere da quel piroscafo, il suo sogno più grande era vedere il mare! Assurdo per chi ci vive praticamente dentro, ma lui voleva godere di quella maestosa vista da un’altra prospettiva, voleva goderne appieno. Era qualcosa che ti lasciava di sasso parlare con lui, non ti dava l’impressione di essere totalmente presente, era assorto nel suo mondo, osservava qualsiasi cosa, assorbiva tutto, come uno spugna. Tutte le storie, le emozioni e i desideri dei suoi “coinquilini” di viaggio. È stato padre, marito, amico e amante. Lo è stato per mille volte e la sensazione che non si sia mai perso nulla nella vita lo ha accompagnato fino alla fine. In fondo lui la vita l’aveva rubata. Non c’era nazione, terra, porto, stato, che avesse il suo nome scritto su un qualsiasi tipo di registro. Lui non è mai sceso da quella nave, lui magari non è mai esistito. Ma i suoi insegnamenti, la sua arte e la sua leggenda vivranno per sempre.

“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire… ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva… e, sempre tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): L’America.”

Avete presente quando vi sorprendete per qualcosa che gli altri danno per scontato e vi sentite dire:” Beh, che hai scoperto l’America?” Volevo dirvi di si, l’abbiamo fatto. Ognuno di noi, nella sua vita fa delle scoperte, più o meno importanti, che determinano, nonostante tutto, di lì in avanti, la strada che decidiamo di percorrere. Perché quelle piccole rivelazioni gettano luce su di noi, ci danno la possibilità di conoscerci meglio e nel più fortunato dei casi, capirci. Quante volte ci sentiamo strani, senza motivo e senza una spiegazione? Capire noi stessi richiede uno sforzo, forse di gran lunga maggiore, di quello che facciamo per capire gli altri. Ma alla fine non ci riusciamo sempre. Alla fine, Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, chi l’ha capito?! È misterioso, affascinante, leggendario, mitico, sovraumano. Non si può spiegare, si deve leggere e rileggere, si deve ascoltare, si deve vivere. E su quella cassa di dinamite, seduto con la calma e la tranquillità di pochi, con un sorriso che aveva in sé gioia e dolore, con la curiosità di chi è pronto a salpare per l’ultima volta, di chi è pronto a fare un altro viaggio, vi consegnerà le verità più nobili e pure. Vi darà risposte a domande che non credevate di avere e diventerà un ricordo vivido nella vostra memoria. Novecento, per quel che mi riguarda, non è un’opera di narrativa, non è un testo teatrale, non è una storia. Novecento è un amico da consultare quando tutto sembra fermo o a essere fermi siamo solo noi.

A chi ama l’Oceano e la musica, a chi ama la vita oltre ogni aspettativa.

Buona lettura!

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