“Il nome della rosa” il capolavoro del padre della cultura moderna: Umberto Eco


di Eva Curatola“Era una bella mattina di fine novembre.” Comincia cosi il primo romanzo del grande saggista e semiologo Umberto Eco. Pubblicato per la prima volta nel 1980, divenne col tempo il suo grande capolavoro.
Dimostrazione ne è il fatto che ad oggi, dopo quasi 40 anni, il romanzo resta uno dei manoscritti più conosciuti al mondo. Si avete capito bene, manoscritto, perchè esattamente di questo si tratta, un manoscritto ritrovato ambientato nel Medioevo. Molti lo definiscono, non a torto, un giallo storico, ma è lo stesso autore fra le prime pagine del libro a scrivere: “naturalmente, un manoscritto“.

Questo primo libro di Eco nasce quasi per caso, da uno scherzo fra amici, in cui l’autore aveva ammesso che se mai si fosse distaccato dai suoi saggi per scrivere un romanzo, avrebbe sicuramente raccontato la storia di un monaco medievale. Si tratta di una scelta singolare che senz’altro suscita degli interrogativi, ma le risposte sono abbastanza semplici.
Il Medioevo è infatti uno dei temi che al tempo l’autore trattava maggiormente nei suoi saggi; il far di un monaco il protagonista del suo romanzo è dovuto ad una memoria giovanile, facente riferimento ad un episodio in cui Eco avrebbe visitato un’abbazia rimanendo folgorato dai monaci illuminati dalla luce del sole mentre riordinavano i loro libri.

Ci troviamo dunque al finire dell’anno 1327, i protagonisti sono: il maestro Guglielmo da Baskerville e il novizio monaco Adso da Melk. Il romanzo è narrato dal punto di vista del secondo, che ormai diventato vecchio decide di raccogliere in un libro le memorie di un’indimenticabile esperienza vissuta in gioventù.

La storia, che si svolge all’interno di un monastero benedettino dell’Italia settentrionale, è suddivisa in sette giornate, suddivise a loro volta secondo i ritmi della vita monastica (mattutino e laudi, ora terza, ora sesta, ora nona, vespri, compieta).

I nostri due protagonisti giungono all’Abbazia per svolgere un compito affidato loro dall’Imperatore in persona, qui però si trovano di fronte a dei terribili delitti, nell’arco di una settimana infatti, sette monaci vengono assassinati e apparentemente nessuno ne sa spiegare il motivo. Sarà cosi che Guglielmo, ex inquisitore, sarò chiamato dall’Abate del luogo a far luce su questi misteri.

“Mio buon Adso” disse il maestro. “E’ tutto il viaggio che ti insegno a riconoscere le tracce con cui il mondo ci parla come un grande libro.”

Tutti i delitti sembrano ruotare attorno alla biblioteca del monastero, “di cui si parla con ammirazione in tutte le abbazie della cristianità.” Sarà proprio questa a nascondere un gran segreto.

Per chi non si è ancora dedicato alla lettura, di quello che possiamo definire un grande classico dell’era moderna, i fatti si svilupperrano in maniera inaspettata e intrigante, per chi invece continua a rileggerlo anche dopo tanti anni la curiosità rimane intatta, come se voltando le pagine potessimo trovare un finale diverso o scoprire un indizio che la volta precedente ci era sfuggito.

Non mancano di certo le somiglianze con il grande Arthur Conan Doyle e il suo grande capolavoro Sherlock Holmes; i due protagonisti de “Il nome della rosa” sono infatti due trasposizioni perfette dell’investigatore più famoso di tutti i tempi e del suo aiutante ed amico Watson.

Guglielmo, cosi come Holmes, utilizza il metodo deduttivo, basato sulla ragione e la scienza, per arrivare alla verità. Le differenze ovviamente non mancano, soprattutto nel finale in cui le cose non vanno esattamente come vorremmo.

Il romanzo che ha venduto oltre 50 milioni di copie ed è stato tradotto in più di 40 lingue, non era di certo il preferito dall’autore, che anzi durante un’intervista afferma di odiarlo e si augura che i lettori facciano altrettanto.
Ma come si potrebbe mai odiare una scrittura cosi precisa ed appassionata, che porta il lettore ad un altro livello di cultura.

Eco pone alla fine del suo libro una frase, che servirà ancora di più a capire lo scopo della sua intera opera:
“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”
“La rosa primigenia esiste solo come nome, noi possediamo nomi nudi”

Evidenziando così che a fondamento della realtà rimangono solo i “nomi“.
Il verso può essere spiegato come una riflessione sulla transitorietà delle cose, di cui, alla fine, rimane solo l’aspetto verbale.

nome-rosa