Operazione Helianthus, anche Berna tra gli estorti della cosca. Richieste fino a 200 mila euro
Il caso dell’imprenditore Presto: “Si presentò Pietro Labate in persona. Ora non voglio più lavorare, sono terrorizzato”
29 Gennaio 2020 - 20:55 | Redazione
Nell’interrogatorio del 9 agosto 2019, Francesco Berna, ex presidente di Ance Calabria, ha ricordato agli inquirenti un episodio estorsivo che lo aveva visto coinvolto, ma solo indirettamente, attraverso un suo socio in alcune operazioni immobiliari, Francesco Presto, titolare della Fata Morgana sas, e vittima diretta dell’espidosio.
Berna ha quindi raccontato che nel 2012 aveva affidato in subappalto a presto la realizzazione di un complesso immobiliare sul Viale Aldo Moro: “abbiamo acquistato questo terreno dal dottore Demetrio Rullo… l’appalto glielo faccio fare a Fata Morgana, che era nella società perché la società… abbiamo … questo terreno l’abbiamo acquistato in società, la Fata Morgana in pratica con la Biesse, e diamo questo appalto… e lo fa direttamente Fata Morgana”.
Berna apprese quindi da Presto che esponenti della cosca Labate gli avevano imposto un ingentissimo balzello estorsivo, costringendolo a versare ben 200 mila euro a titolo di pizzo. Richiesta che nella circostanza era stata avanzata direttamente dal capo della consorteria dei “Ti mangiu”. Ovvero Pietro Labate:
“Franco presto mi riferisce che ha dovuto pagare una tangente, un pizzo di 200 mila euro, che gliel’ha imposto direttamente Pietro Labate” riferì Berna.
L’estorsione però gravava solo su Presto visto che l’edificazione del complesso immobiliare era di sua esclusiva pertinenza. Presto dunque si confidò con Berna proprio per l’eccezionalità dell’estorsione.
Solo dopo fu ascoltato anche Franco Presto che – manifestando enormi timori ed una comprensibile inquietudine, scrivono gli inquirenti – ammetteva con non poca sofferenza l’estorsione patita ad opera di Pietro Labate e Orazio Assumma. Era infatti stato il boss di Gebbione in persona a “scomodarsi” presentandosi al cantiere di viale Aldo Moro, spalleggiato da Assumma: “Qua mi hanno distrutto…” dice Presto al Pm Stefano Musolino.
“Una mattina mentre ero là che lavoravo da un garage è uscito il sig. Labate (…) forse era addirittura latitante (…) ho avuto paura eh eh sono rimasto! (…) proprio 4 metri di distanza dal nostro cantiere a questo garage qua, nella rampa che c’è una rampa là sotto e si è presentato”.
A domanda Presto risponde che Labate si presentò con il sig. Orazio Assumma “quello che vende materiale, pittura, queste cose qua”. I due hanno prima rimproverato l’imprenditore, accusandolo di non aver rispettato le regole e di non aver chiesto il permesso per iniziare i lavori:
“mi hanno preso a male parole, mi hanno detto che sono andato a casa loro, che prima che andavo là gli dovevo chiedere il permesso, che sono scostumato, avete capito che mi hanno detto? Perché uno gli deve chiedere pure il permesso per lavorare, avete capito? Siamo in queste condizioni, avete capito? Che gli dovevo chiedere il permesso per lavorare, avete capito? Che gli dovevo chiedere il permesso e che qua e che là, che il lavoro era loroche dovevano farlo loro, che loro si erano accaparrati il lavoro da prima, non so che lavoro si erano accaparrati, gli ho detto io ‘ma scusate io vi sto offrendo il lavoro?’ dice ‘no tu stai zitto! Sei uno scostumato! Sei qua e sei là!” I due hanno quindi chiesto 200 mila euro “se fate il lavoro e se non lo fate mi ha detto”.
Presto versò la somma richiesta in più tranche, nelle mani di Assumma, lungo i due anni e mezzo in cui erano durati i lavori: “Il sig. Labate mi ha detto che glieli dovevo dare solo a lui”. E da lui, Assumma, l’imprenditore Presto fu costretto a comprare il materiale occorrente in cantiere, anche se non fu esplicitamente minacciato. Al pm riferì:
“Pensavo che se non andavo là gli avrei fatto un torto, avete capito? Lui mi ha detto ‘non è che devi venire per forza per la pittura, ho il negozio della pittura, vi faccio un preventivo e mi ha fatto il preventivo eh, avete capito Eh che devo fare!”.
La conclusione dell’interrogatorio di Presto rappresenta la cifra del condizionamento mafioso su ogni imprenditore:
“… Avevo in programma di fare altre cose, ma penso che non farò, non voglio più lavorare dottore, ormai non lo so, sono preoccupato, sono terrorizzato, credetemi dottore, che vi devo dire dottore, non so, non so quello che farò”.
Il ruolo di Berna
Vale la pena ricordare che Francesco Berna, unitamente al fratello Demetrio, è stato tratto in arresto il 31 luglio del 2019 nell’ambito del procedimento “Libro nero” con l’accusa di aver fatto parte della cosca Libri, con il ruolo di partecipe, in qualità di imprenditore di riferimento delle cosca. Dopo nove giorni dall’arresto Berna intese sottoporsi ad interrogatorio per chiarire la sua posizione e quindi la natura dei rapporti intrattenuti con vari esponenti della criminalità organizzata, mostrandosi collaborativo rispetto ad informazioni che potessero servire, e raccontando le condotte vessatorie ed estorsive subite nel corso degli anni. Proprio in questo frangente Berna ha riferito l’estorsione subita da Presto. Lo stesso Berna ha rivelato di non aver mai voluto costruire nella zona del Gebbione, ma anche di aver subito dirse estorsioni, in coppia con l’imprenditore Francesco Siclari, e in un cantiere sul viale Messina, ad opera di Domenico Foti detto “Vecchia Romagna” e ancora Orazio Assumma.