Eurostat, i dati sui ‘giovani adulti’ d’Italia. Staine: “Grave situazione al Sud”

"I dati diffusi nelle ultime ore da Eurostat ci obbligano a una riflessione seria e a un cambio di approccio". Le dichiarazioni della candidata alle elezioni europee Emma Staine

Man using computer in office


Secondo Eurostat, in Italia ben la metà di ‘giovani adulti’ con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni (il 49,3%) vive ancora con i genitori e mediamente chi riesce a uscire di casa lo fa dopo i 30 anni. E questo mentre nella media dei 28 Paesi Ue vive ancora con i suoi solo il 28,5% di questa fascia della popolazione e si esce di casa in genere a 26 anni.

Secondo l’ultima fotografia scattata dall’istituto europeo di statistica in base ai dati 2017, le difficoltà economiche o le caratteristiche socio-culturali di vario genere che rallentano l’emancipazione dal menage famigliare pongono l’Italia al primo posto, tra i grandi Paesi dell’Unione, in questa classifica. Ad avere ancora maggiori problemi dei nostri ‘giovani adulti’ sono infatti solo croati (59,7), slovacchi (57%) e greci (56,3%).

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«I dati diffusi nelle ultime ore da Eurostat ci obbligano a una riflessione seria e a un cambio di approccio. Dobbiamo incentivare i nostri giovani a sviluppare idee imprenditoriali, a investire su loro stessi a progettare il futuro. Il vero male del precariato è che ha creato uno stile di vita negativo, che sviluppa paura e non incentiva la voglia di costruire».

È quanto dichiara Emma Staine candidata della Lega nel collegio dell’Italia Meridionale alle Europee del 26 maggio prossimo.

«Se guardiamo al Sud – aggiunge la Staine – la situazione è ancora peggio. Il divario con gli altri giovani europei è troppo alto e la nuova Europa che voglia costruire deve tutelare il futuro dei nostri giovani e porre al centro della propria azione politica l’individuo, i suoi bisogni, e le sue aspettative.

Dobbiamo porre fine alla precarietà lavorativa ed esistenziale, e puntare sulla creazione di lavoro che sia stabilizzatore economico e sociale. Incentivare il dialogo tra industria, universo scolastico e mercato del lavoro, investire nella riconversione delle competenze dei lavoratori meno qualificati e guardare all’industria come un luogo di produzione, innovazione, ma anche apprendimento e crescita. Urge un cambio di passo».

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