Salute mentale: dal disturbo antisociale di personalità alla psicopatia

Non è sempre facile "comprendere il male". L'approfondimento dell'esperta dott.ssa Custoza dell'istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria

L’uomo è l’animale più crudele. Mai egli si è sentito così bene sulla terra come assistendo a tragedie, a corride e a crocifissioni” (Nietzsche).

“Perché l’uomo subisce il fascino del male? Da Jack lo Squartatore alle recenti vicende di femminicidi e violenze di vario grado, ogni notizia di cronaca nera suscita in noi sentimenti ambivalenti di rabbia e al contempo curiosità di comprendere cosa si cela dietro tali aggressività. Letteratura, cinema e televisione ci permettono il confronto con quelle forze distruttive che, per fortuna in diversa misura, albergano la struttura psichica di ognuno di noi.

Comprendere il “male”

Dal disturbo antisociale di personalità alla psicopatia

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Secondo lo psichiatra Robert Simon, “il male è dentro ognuno di noi, la differenza fondamentale è che i buoni si limitano a fantasticare, mentre i cattivi agiscono le violenze pensate”.

Nel contesto delle violenze agite, il Disturbo antisociale di personalità presenta modalità di comportamento che si caratterizzano nell’espressione del male e dell’aggressività, dalle più semplici violazioni delle norme sociali a veri e propri delitti di sangue.

L’evoluzione della terminologia diagnostica ha subito nel corso degli anni l’influenza dei diversi significati concettuali dati a tali comportamenti: il disturbo è stato denominato sociopatia, psicopatia o anche disturbo dissociale di personalità.

Secondo il DSM-5-TR (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), il Disturbo antisociale di personalità si caratterizza per  “un pattern pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che inizia nell’infanzia o nella prima adolescenza e continua nell’età adulta”.

Le caratteristiche principali sono:

  • impulsività, rabbia e irritabilità; incapacità di adattarsi alle regole e irresponsabilità; disonestà, autostima dipendente dal guadagno e dal potere, tendenza a correre rischi, mancanza di empatia e preoccupazione per gli altri.

All’interno di tale categoria diagnostica è prevista la specificazione “con caratteristiche psicopatiche”, sottovariante definita anche con il termine “psicopatia”.

Questa sottocategoria si differenzia dal meno grave disturbo antisociale per le seguenti caratteristiche:

  • maggior controllo degli impulsi aggressivi, al fine di metterli in atto solo in condizioni favorevoli; assenza di ansia, paura, senso di colpa ed empatia emotiva, capacità di entrare in empatia cognitiva per sedurre gli altri e soddisfare il bisogno narcisistico di dominanza e onnipotenza sociale; freddezza emotiva, seduzione e manipolazione; crudeltà e indifferenza al dolore; manifestazioni emotive artificiali, teatrali e simulate; pensiero machiavellico.

Hare (1983) ha evidenziato come tra gli psicopatici quasi tutti abbiano comportamenti antisociali, mentre vi è un numero preponderante di soggetti antisociali che non sono psicopatici. È fondamentale sottolineare che non tutti i comportamenti antisociali o criminali sono specifici di questo disturbo; la diagnosi va effettuata solo nei casi in cui la modalità comportamentale è inflessibile, persistente e causa una significativa compromissione funzionale o un disagio soggettivo. Il comportamento antisociale si esprime lungo un continuum che va dalle forme più lievi di comportamento antisociale alle forme più gravi del comportamento psicopatico.

Le cause

Le cause sottostanti il disturbo antisociale di personalità sono multifattoriali e, anche se ancora non ben definite, fanno riferimento ad una componente genetico neurobiologica e ad una componente psicologico/ambientale.

In letteratura sono presenti numerosi studi su famiglie e su gemelli che evidenziano la forte correlazione tra la sintomatologia antisociale e specifici fattori genetico-neurobiologici, come per esempio anomalie della corteccia prefrontale, della corteccia temporale superiore, dell’amigdala/ ippocampo. Particolare rilevanza sembra sia rivestita dalla riduzione della materia grigia nei lobi prefrontale.

Per quanto riguarda invece i fattori psicologici e ambientali, sono state individuate diverse caratteristiche quali il deficit nella capacità di mentalizzare, vale a dire la capacità di riflessione sui propri stati mentali e su quelli degli altri; la disregolazione emotiva (incapacità di modulare le emozioni e le relative risposte comportamentali); il discontrollo degli impulsi soprattutto in situazioni particolarmente stressanti; l’attaccamento insicuro, gli abusi fisici, le carenti cure genitoriali. Il disturbo di personalità accompagna il soggetto nella sua esistenza, tuttavia, con l’aumentare dell’età, è stata riscontrata una possibile remissione dei sintomi più gravi.

Per quanto riguarda il trattamento, non esistono psicoterapie efficaci. Tali soggetti non soffrono ma fanno soffrire gli altri e, non avendo consapevolezza della malattia, si sottopongo alle cure solo in seguito a questioni giudiziarie.

Alcuni studi su detenuti, sono a favore di un intervento farmacologico con il carbonato di litio, neurolettici di nuova generazione, stabilizzatori dell’umore e serotoninergici per il contenimento dei comportamenti aggressivi. Utili strategie di prevenzione sono polarizzate ad interventi su bambini problematici con disturbo della condotta, precursore del disturbo di personalità antisociale dell’adulto”.

Articolo a cura della dottoressa Giusy Custoza