Comunali Reggio, il centrodestra esce con le ossa rotte. Analisi di una sconfitta

Tempo di bilanci nella coalizione, per una debacle che parte da lontano. E Minicuci appare un gigante...


Il centrodestra ci ha provato a mostrarsi unito. Ha provato ad ingoiare il rospo del diktat nazionale. Ma non ce l’ha fatta. Ed il risultato è stato quello che tutti, o quasi, si aspettavano.

E qui non c’entra il valore del candidato, che è indiscutibile dal punto di vista della preparazione e della competenza maturata sul campo. Qui ci entrano mani e piedi, e uno per uno, i big di casa nostra. Che adesso dovranno pur aprire un dibattito interno per analizzare i motivi di una sconfitta pesante, anzi pesantissima.

E non ingannino i soli 17 punti e passa percentuali di distacco tra Giuseppe Falcomatà e Antonino Minicuci. Perché se possibile la sconfitta del centrodestra in città va oltre i numeri e investe una classe dirigente che non si è dimostrata all’altezza. Litigiosa, primatista, sempre pronta a mettere il pennacchio ad ogni cosa. Una classe dirigente salottiera che, spesso e volentieri, ha battuto i pugni sui tavoli per il proprio tornaconto personale.

Si dovrà insomma aprire una fase nuova. Ma soprattutto vera. Una fase in cui i partiti tradizionali della coalizione devono guardarsi in faccia e fare un mea culpa pubblico, non all’interno delle ovattate stanze di coordinamenti o sedi di partito. I reggini hanno diritto di sapere di chi è la responsabilità della debacle. Che arriva dopo sei anni di molle opposizione all’amministrazione Falcomatà, che tutti, ma proprio tutti, si erano affrettati a definire disastrosa.

Ma poi, di quale centrodestra parliamo? Di quello che un paio di giorni prima del ballottaggio si mostrava compatto e numeroso al tavolo presieduto dal malcapitato Minicuci, o di quello neanche in grado di mettere la faccia davanti ad una sconfitta bruciante come quella del 5 ottobre?
Basta guardare la solitudine del candidato sindaco per capire di cosa si sta parlando. Perché la dignità di Antonino Minicuci, che per primo (ed unico) si è assunto la colpa del risultato disastroso, lo fa apparire addirittura un gigante tra tanti nani che si nascondono.

E si nascondono dalla gente. Da quei reggini che hanno dimostrato di voler partecipare alla cosa pubblica. Che hanno dimostrato che le imposizioni non sono ben accette. Che hanno comunque votato per un fatto ideologico.
Ma quel popolo di centrodestra ha subito già troppi tradimenti.

Già nel 2014 la designazione del candidato sindaco avvenne in maniera rocambolesca. Anche allora in ritardo e non con il favore della coalizione. Il risultato, e quindi la sconfitta, furono evidenti, con Lucio Dattola che non raggiunse il 30% delle preferenze. Ma tra ieri e il 2020 ci stanno in mezzo sei anni di pressapochismo partitico, di opposizione blanda, di lotte di posizione (anche in Consiglio) che non sono servite a niente.

Con tutto il tempo a disposizione, la precarietà della posizione di Falcomatà, e il vento in poppa soffiato dal risultato delle regionali, il centrodestra è riuscito a fare cilecca lo stesso.

Inconcludente e indeciso, ha lasciato che fossero gli equilibri nazionali a decidere per il territorio. Ha inscenato una successiva guerra alle scelte del tavolo della coalizione, pur sapendo che non era possibile tornare indietro. Ha logorato il proprio candidato che avrebbe avuto bisogno di essere accompagnato per mano a Reggio Calabria, ed ha spazientito i propri elettori che continuavano a non capire cosa stesse frullando nella testa dei generali. Poi, ad un minuto dalla presentazione delle liste, il dietrofront, e il finto ricompattamento. Un modo come un altro per tenere i piedi su due staffe.

Quell’opposizione poi, blanda e impalpabile, che doveva servire invece a ridestare il popolo del centrodestra, è riuscita addirittura a superarsi, in negativo. Per seguire il diktat dei quadri locali, alcuni sono usciti, dopo la designazione di Antonino Minicuci, dicendo che non si sarebbero, in blocco, più candidati.
Ma non hanno mantenuto la parola. Si sono candidati tutti, gli uscenti, enfatizzando la potenza di liste che avrebbero dovuto spazzare via il centrosinistra. E il popolo li ha bocciati, quasi tutti.

E questo doveva suonare come non uno, ma dieci campanelli d’allarme per gli statisti (donne e uomini, s’intende) del centrodestra reggino.

Minicuci al ballottaggio conferma sostanzialmente i voti del primo turno. Senza fare alcun passo in avanti. E quella immagine di lui, da solo, davanti ai giornalisti, è la rappresentazione plastica di come, al netto di sorrisi urla e applausi di rito, ha affrontato i quindici giorni prima del ballottaggio.

Oggi al centrodestra non serve soltanto dire di chi è la colpa di quanto successo. E non basta trincerarsi dietro i consueti ‘l’avevamo detto noi…’. Oggi il centrodestra ha bisogno di rifondarsi. E rifondandosi, di convincere anche il capo dell’opposizione, Minicuci, a restare a Reggio e portare avanti la proposta politica che ha detto di avere per la città, anche dai banchi dell’opposizione. Non farlo sarebbe imperdonabile e poco serio. E gli elettori hanno già dimostrato che chi sbaglia, paga.
Ora tocca a loro capire che sbagliando, qualcosa si dovrà pur imparare.