CityNow incontra il giovane autore Riccardo Bertoldi: “Non dimenticatevi dei sogni”


di Maria D’Amico – Benvenuti nella nostra rubrica lettori, anche oggi #Insidethebook ha una sorpresa per voi! Un autore giovane, passionale, romantico, talentuoso. Amato dai suoi lettori ancor prima della pubblicazione del suo romanzo d’esordio. Un ragazzo che è entrato nel cuore di tutti usando principalmente i social per farsi conoscere, ma una vetrina virtuale non basta, occorre cuore e sentimento, è necessario un tocco gentile e grande disponibilità, voglia di mettersi in gioco. Riccardo Bertoldi è tutto questo, e molto altro.

Cosa vorresti raccontare di te, ai tuoi lettori, per farti conoscere meglio?

Sono cresciuto a Nosellari, un paese di sessanta persone, così piccolo che quando esci con una ragazza devi stare attento non sia tua parente.

Per un bambino, abitare qui, vuol dire tante cose.

Prima di tutto significa vivere all’aria aperta tutto il giorno, tornare a casa con i pantaloni sporchi d’erba e sentirsi sgridare dai propri genitori perché L’erba non viene via. Vuol dire andare a caccia di lombrichi e insetti, catturare le cavallette dentro barattoli di vetro, corse in bicicletta e, una volta al mese, accompagnare papà a pesca. Significa lunghe gite in montagna e a metà strada essere caricati sulle spalle perché quella salita è troppa, per delle gambe così piccole. E significa passare la vita nei boschi a costruire case sugli alberi.

Essere bambini di paese vuol dire avere una classe di sette persone, diventare amici degli insegnanti, giocare a pallone per strada e indossare i maglioni di lana della nonna che fanno venire un prurito tremendo. Vuol dire anche starci fuori, dal mondo. Ore di auto per andare al cinema, inverni con mari di neve, notti con quindici gradi sotto lo zero; vuol dire nascere con gli sci ai piedi, la slitta in soffitta e l’odore della natura dentro casa; svegliarsi con il din don delle campane delle mucche al pascolo, avere una famiglia di sessanta persone, chiamarsi da una finestra all’altra con tutti i polmoni aperti, andare a fare legna nei boschi, in autunno passeggiare per strada e avere le foglie fino alle caviglie, bere l’acqua delle fontane. E del rubinetto.

Significa avere l’odore del legno dappertutto: nell’aria, nei prati, in strada, nei parchi, dentro casa. E avere una stufa di quelle dove si vede dentro il fuoco e si sente crepitare tutto, e camini fumanti, e cantine scure e umide in cui giocare, ore passate sulle altalene e sulle giostre rotonde del parco giochi, escursioni nel boschetto dietro al campo da pallone a strappare rami per farne dei bastoni da camminare, o spade, o archi e frecce. O tutto quanto.

La vita di montagna significa soprattutto essere coccolato dentro un mondo in cui tutto è così piccolo da farti sempre sentire a casa.

 

La scrittura ha sempre fatto parte della tua vita?

Scrivo da sempre. A dieci anni, mentre i miei amici andavano nei boschi a sporcarsi di erba i pantaloni, io mi chiudevo a casa e scrivevo qualche frase, e dicevo sempre “sto scrivendo un libro”. Poi però non lo scrivevo mai e andavo a giocare anche io.

Poi sono cresciuto e dentro di me ho sentito che scrivere è un bel pezzo della mia felicità. Ho scritto tanto, tantissimo, nella mia vita. Nel cassetto della mia stanza ci sono cinque-sei libri che non leggerà mai nessuno, e poi fogli volanti e spiegazzati, post-it, di tutto…

Io però lo dicevo sempre: “Un giorno pubblicherò un libro, ma non adesso”. E me lo sono ripetuto per anni “Non è il momento giusto. Sono giovane. Ho tempo”.

Ecco: sono giovane, ho tempo.

Poi è successo qualcosa che non pensavo potesse accadere: papà si è ammalato. Tanto. Una di quelle malattie che ti cambiano, che ti portano via, che cambiano la vita a tutti.

Anche a me.

Papà era giovane. Papà aveva tempo.

Invece no. Invece ho imparato che non lo possiamo sapere, quanto tempo abbiamo. Che oggi va tutto bene e domani chissà.

Io me lo ricordo ancora, papà andare via.

E quando l’ho visto lì, in quel letto che non doveva essere suo, ho stretto forte i pugni e mi sono detto “Perché a lui?” e poi però anche “Ma perché non a lui?”

Ecco, quando papà è andato via, senza saperlo mi ha dato il coraggio per diventare ciò che desideravo essere, e il mio “Un giorno pubblicherò un libro” è diventato “Adesso pubblico un libro”.

 

A febbraio uscirà il tuo primo romanzo “Resti?”, cosa dovranno aspettarsi i lettori da queste pagine? Quali tematiche tratterai?

“Resti?” è un libro che parla di noi: di quello che desideriamo, ma anche di quello che non desideriamo affatto. Parla di amicizia, amore, vittorie, sconfitte, lacrime, sorrisi… e di caffè. Ma anche di case sugli alberi, di tende nel bosco, di libri che diventano appuntamenti che cambiano la vita.

Parla di un amore che potrebbe essere “mai” oppure “per sempre”, di quell’attimo che cambia tutto, di quello sguardo quando non lo vogliamo, e di quello che non vorremmo mai vedere andare via.

“Resti?” parla di mare, di stelle, di labbra al sapore di cocco.

E ci dice che qualche volta si perde, ma che l’amore vince sempre, che a volte piove, ma che poi viene sempre il sole, che ci si può svegliare ma senza dimenticarsi dei sogni.

 

Esperienze, emozioni, sogni, aspettative. Tutti elementi che ci definiscono e contraddistinguono, dandoci  una particolare e personale visione della realtà. La scrittura è un mezzo per condividere questa visione, annulla la distanza tra il mondo dell’autore e quello del lettore che, inevitabilmente, collidono e si alimentano a vicenda. Ti va di raccontarci quali sogni e aspettative nutri per questo romanzo? C’è un messaggio chiave che hai voluto veicolare tra le sue pagine?

Questo libro è un po’ il mio sogno che potrò tenere in mano.

Mentirei se dicessi che non ho aspettative. Tutti le abbiamo. Le aspettative e i sogni sono quegli spazi fra un battito del cuore e l’altro, quelli dove si nascondono le felicità che reprimiamo. Vorrei che questo libro non andasse sugli scaffali delle librerie,

ma dentro le vostre case,

che facesse piangere,

però anche ridere

e che il cuore qualche volta si rompe

ma che poi si può aggiustare.

 

Considerando la realtà poco rosea che attualmente viviamo, cosa vorresti dire ai giovani che in questo momento si sentono demotivati?

Non dimenticatevi dei sogni.

 

Ogni scrittore è prima di tutto un lettore. Prediligi un determinato genere letterario o sei quello che io definisco un “lettore onnivoro”? In tal caso pensi di poter spaziare anche nella scrittura verso altri generi?

Leggo tutto: noir, thriller, rosa, gialli, storici.

Sono un divoratore di parole.

Però, per quanto riguarda il cambiare genere di scrittura non credo succederà. Gli scrittori diventano sempre prigionieri del loro primo romanzo, perché è quello che etichetta e che dice chi sei agli occhi dei lettori.

 

Stai già lavorando a qualcosa di nuovo? Qualche anticipazione? Per il momento sto ancora lavorando assieme a Rizzoli alla revisione di “Resti?”. Non ho ancora avuto la forza (e a dire il vero nemmeno la voglia) di pensare a qualcos’altro, ma succederà, perché a me non piace andare via.

Io resto.

E tu?

Decisamente si! Resto, in particolar modo in attesa dell’uscita del romanzo per poterlo divorare! Sei riuscito a farci emozionare con una chiacchierata, nutro grandi aspettative per questo romanzo e sono sicura che le soddisferà tutte! Noi di CityNow ti auguriamo che sia il primo di numerosi successi!

E tu lettore, “Resti?”

Io ti aspetto su #insidethebook!

Buona domenica!

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