Reggio, il tribunale assolve Zimbalatti: ‘mafiosi del nord’ non fu diffamazione su Cellino

Il consigliere reggino si era esposto accusando Cellino di aver agito in collusione con alcuni "mafiosi del Nord" per escludere la Reggina 1914 dal campionato di Serie B


Il Tribunale di Reggio Calabria, nella persona del Giudice per le indagini preliminari Dott. Claudio Treglia, ha rigettato la proposta di opposizione e disposto l’archiviazione del procedimento a carico di Antonino Zimbalatti, Consigliere comunale, accusato di diffamazione aggravata ai danni di Massimo Cellino, presidente del Brescia Calcio.

Il caso Cellino-Zimbalatti

Il procedimento è scaturito da una denuncia-querela presentata da Massimo Cellino in seguito ad alcune affermazioni diffamatorie che sarebbero state rese da Zimbalatti durante una protesta pubblica.

Il consigliere reggino si era esposto accusando Cellino di aver agito in collusione con alcuni “mafiosi del Nord” per escludere la Reggina 1914 dal campionato di Serie B.

La decisione del giudice

Il Giudice Treglia ha osservato che le affermazioni di Zimbalatti, pur se offensive e forti, rientravano nell’ambito del diritto di critica previsto dall’articolo 21 della Costituzione italiana, non configurando quindi un reato di diffamazione secondo l’art. 595 c.p.

Le motivazioni dell’archiviazione

Nell’ordinanza si legge che il Giudice ha ritenuto “infondata la notizia di reato” poiché le indagini preliminari non hanno fornito sufficienti elementi per sostenere l’accusa in giudizio. Il Giudice ha sottolineato che le critiche di Zimbalatti, benché aspre, erano pertinenti al contesto e miravano a sollevare un dibattito di interesse pubblico sulla gestione sportiva e amministrativa delle squadre di calcio coinvolte.

Il Giudice ha rilevato che Zimbalatti faceva riferimento a fatti di pubblico dominio, in particolare alle vicende relative all’inchiesta “Calciopoli“, e che le sue dichiarazioni non potevano essere considerate una gratuita aggressione alla reputazione di Cellino. È stato inoltre sottolineato che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, il diritto di critica non esclude l’uso di termini forti se proporzionati alla finalità di disapprovazione e funzionali all’opinione espressa.

Alla luce delle considerazioni emerse, il Tribunale ha disposto l’archiviazione del procedimento e la restituzione degli atti al Pubblico Ministero. Il Giudice ha concluso che non vi erano ulteriori elementi che giustificassero la prosecuzione delle indagini o l’imposizione di provvedimenti istruttori.