I “Bronzi di Riace” e il loro ritrovamento, una storia lunga quasi mezzo secolo
16 Agosto 2018 - 19:13 | di Eva Curatola
Era la mattina del 16 agosto 1972 a Porto Forticchio di Riace Marina, quando il sub Stefano Mariottini, avvista nel fondale della località locridea, a 300 metri dalla costa e a soli 8 metri di profondità, i Bronzi di Riace.
L’emozione è indescrivibile, ma Mariottini contatta subito il soprintendente dell’epoca, Giuseppe Foti, per le operazioni di recupero che avverranno qualche giorno dopo, il 21 agosto. Una storia che ha dello straordinario e che, a distanza di anni, continua ad affascinare.
Dallo Ionio riemerge prima il “Bronzo B” e poi il “Bronzo A”, successivamente rinominati “il vecchio” e il “giovane”. Alte rispettivamente 1,98 e 1,97 m, dagli originari 400 kg, il peso oggi si aggira intorno ai 160 kg, in virtù della rimozione della terra di fusione operata dagli esperti. Realizzate attorno alla metà V secolo a.C., con una differenza di circa un trentennio l’una dall’altra, le due state presentano stilemi dorici, tipici del Peloponneso o dell’occidente greco.
Ciò che resta di incerto è la loro identità. Divinità o guerrieri o forse ancora gli sfortunati figli del re Laio, Eteocle e Polinice, del noto ciclo tebano. Il mistero avvolge anche il relitto che li trasportava, mai ritrovato, così come su altri reperti significativi. Questioni che alimentano teorie che lasciano aperti molti spazi interpretativi sulla loro storia.
Dopo un primo intervento conservativo effettuato dalla Soprintendenza di Reggio Calabria, i Bronzi partono per Firenze dove, tra il 1975 e il 1980, subiscono una lunga operazione di restauro a cura dell’Opificio delle Pietre Dure. Due gli obiettivi principali: la pulizia e la conservazione delle patine esterne e il tentativo di svuotamento della terra di fusione dall’interno delle statue. Gli esami su questo materiale, condotte a Roma all’Istituto centrale del restauro, ne confermano la provenienza dalla Grecia, più precisamente dal Peloponneso.
Gli interventi continuano nel laboratorio del Museo di Reggio dal 1992 al 1995. Con la chiusura del Museo per i lavori di ristrutturazione, nel 2008, si pone il problema del trasferimento delle due statue per la continuazione degli interventi conservativi. Paventata la possibilità di uno spostamento a Roma, parte una fortissima campagna di mobilitazione per impedirne l’allontanamento da Reggio. Le due statue sono quindi accolte in un laboratorio appositamente allestito presso il Consiglio Regionale, dove sono ospitati dal 2010 al 2013.
La prima visione al pubblico avviene dal 15 dicembre del 1980 al 24 giugno del 1981 al Museo archeologico di Firenze. Per volere del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, le due statue vengono poi esposte al Quirinale (dal 29 giugno al 12 luglio del 1981), suscitando un’attenzione tale che si registrano file eccezionali di visitatori desiderosi di ammirarne la bellezza e la magnificenza.
Riportati a Reggio e disposti su un primo sistema di protezione antisismico, dopo i tre anni di sosta a Palazzo Campanella, i Bronzi, con un suggestivo trasferimento notturno, rientrano al Museo e qui sono collocati su basi di sicurezza targate Enea, protettive anche contro terremoti di forte intensità.
È il livello D dell’esposizione permanente del MArRC, restituito alla città nella sua completezza il 30 aprile del 2016, a ospitare, in una sala dedicata, i due gioielli di Riace. «Sono due opere straordinarie, divenute oggi il simbolo del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e di tutto il territorio – commenta Carmelo Malacrino. Si pongono tra i pochissimi capolavori superstiti della grande statuaria greca in bronzo del V secolo a.C. Ma il Museo non è solo “Bronzi”, è molto di più – spiega Malacrino: è la storia antica di un’intera regione, la Calabria, protagonista della magnifica storia della Magna Grecia e oggi realtà in continua crescita in tema di beni culturali e paesaggistici”.
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