La Calabria alla Mostra del Cinema di Venezia con ‘Il buco’
La pellicola racconta l’avventura di un gruppo di speleologi in una delle grotte più profonde al mondo, l’Abisso del Bifurto
05 Settembre 2021 - 18:22 | di Redazione
Alla Mostra del Cinema di Venezia si parla calabrese. Alla celebre kermesse cinematografica infatti arriva ‘Il buco’ di Michelangelo Frammartino, seconda pellicola italiana presentata alla kermesse e in gara nel Concorso ufficiale, dopo ‘È stata la mano di Dio’ di Paolo Sorrentino.
“Spero sia un film immersivo. È la storia di un collettivo immerso nel buio e mi è sembrato che il cinema c’entrasse molto con questo”, ha dichiarato il regista al Lido presentando il suo terzo lungometraggio. La pellicola racconta un pezzo di storia d’Italia poco noto ai più, ossia l’avventura di un gruppo di speleologi che negli Anni 60 scoprirono una delle grotte più profonde al mondo, l’Abisso del Bifurto.
Il regista viene a conoscenza di questa storia nel 2007, quando il sindaco del paese calabrese dove stava girando ‘Le quattro volte’ lo porta a fare un giro del Pollino (massiccio dell’Appennino meridionale, al confine tra Basilicata e Calabria) e gli mostra, gettandovi una pietra all’interno, la profondità di questa ferita nella roccia, che misura ben 700 metri.
“Nel mio film racconto una controstoria. Gli Anni 60 sono quelli del boom, della luce. Questa invece è una storia di silenzio e di buio”, ha spiegato il regista. Mentre a Milano si costruiscono grattacieli, infatti, un gruppo di speleologi del nord decide di ‘migrare al sud’ per intraprendere questa ricerca nelle profondità della terra. Intorno a loro gli abitanti del posto osservano distratti e al tempo stesso sorpresi della gratuità dell’impresa, oltre che convinti dell’inutilità della stessa.
Nel film, quasi interamente senza dialoghi e colonna sonora, la macchina da presa indaga gli spazi rurali incontaminati e la natura selvaggia e aspra del Pollino, portando lo spettatore nel fondo di questo abisso, per immortalare il quale sono state necessarie sei settimane di riprese non poco complesse per regista e interpreti.
Una pellicola che somiglia molto a un documentario, e che si poggia molto sull’aspetto visivo e poco su quello narrativo. Esemplificativo e ironico al riguardo è stato il commento in conferenza stampa di uno dei veri speleologi che realizzarono l’impresa.
“Da come ho capito nel film la trama non c’è, gli attori non ci sono, non c’è il commento sonoro, sembra che non ci sia neanche la luce. Vedremo”, ha dichiarato l’ottantenne Giulio Gècchele con un’ingenuità disarmante, tra l’imbarazzo di regista e produttori.
fonte: agenziadire.it