5 anni in carcere per mafia, consigliere comunale assolto ‘perché il fatto non sussiste’
Il consigliere di Siderno Tavernese era stato condannato a 6 anni per aver fatto parte della cosca Commisso.
17 Giugno 2021 - 18:00 | di Vincenzo Imperitura
Due anni in carcere, tre agli arresti domiciliari e ora, a distanza di quasi 10 anni dagli arresti seguiti all’operazione “Falsa Politica”, l’assoluzione nel processo d’Appello bis. La storia di Giuseppe Tavernese, ex autista in una ditta che si occupa di raccolta di rifiuti e con un passato da sindacalista prima dell’impegno nella politica locale e l’elezione nel consiglio comunale di Siderno, si interrompe nel maggio del 2012 quando la distrettuale antimafia fa scattare le manette per una quindicina di personaggi politici orbitanti nella galassia della potentissima famiglia dei Commisso di Siderno. Tra loro anche gli ex assessori provinciali Cosimo Cherubino e Rocco Agrippo. Tavernese viene indicato dagli inquirenti come intraneo alla cosca e come esponente di riferimento dei Commisso all’interno del consiglio comunale di Siderno all’epoca dei fatti sotto la guida di Alessandro Figliomeni. Ad inchiodarlo, sostengono i giudici di primo e secondo grado che lo condannano con rito abbreviato a sei anni di reclusione per il reato di associazione mafiosa, una serie di intercettazioni che dimostrerebbero la sua contiguità agli uomini del clan e la sua totale messa a disposizione politica agli ordini del “mastro” Giuseppe Commisso, anziano mammasantissima sidernese alla cui “fonte” si sarebbero abbeverati molti uomini politici della zona. E poi, sottolineavano i giudici, c’è quella pesante parentela – uno zio di Tavernese viene considerato ai vertici della ‘ndrina dei Ferraro, storicamente confederata ai Commisso – e le frequentazioni pericolose.
Rifate il processo
Il primo colpo di scena di quella che sembra l’ennesima storia di un politico della Locride condannato per essere un pupazzo nelle mani delle cosche arriva però in Cassazione. Siamo nel 2017 e i giudici del Palazzaccio prendono atto della dettagliata difesa impostata dagli avvocati Pino Sgambellone e Cesare Placanica, e annullano la condanna del primo processo d’Appello nei confronti di Tavernese, disponendo un nuovo dibattimento. Nella sostanza i supremi giudici, spulciando a fondo gli incartamenti del processo, sposano la tesi difensiva che aveva portato alla luce come di tutte le ipotesi contenute nel dettagliato capo d’imputazione, nessuna fosse supportata da prove certe. Poche e poco chiare le intercettazioni che lo riguardano, scarse le certezze nell’affiliazione diretta dell’imputato, persino il rilievo avanzato dai togati di Cassazione che molti degli imputati si riferissero a lui insultandolo e sottolineando la sua mancanza di adesione alla politica dettata dal clan. Diverse poi le minacce ricevute da Tavernese per il suo comportamento politico «contrapposto alle scelte del caln» scrivono i giudici nella sentenza che dispone l’annullamento dell’Appello, e sottolineate durante il processo dagli avvocati Placanica e Sgambellone.
L’assoluzione
Passano 4 anni – il pronunciamento della Cassazione che dispone un nuovo Appello è datato 2017 – e il caso di Tavernese sbarca nuovamente in aula, ironia della sorte proprio negli stessi giorni in cui si sta definendo in secondo grado il troncone in ordinario della stessa indagine. Infine, storia di ieri, la sentenza dei giudici reggini che dispongono l’assoluzione di Tavernese «perché il fatto non sussiste», chiudendo una pagina di giustizia amara durata nove anni.