‘Ndrangheta, i primi sei mesi del 2020: tutte le operazioni contro il crimine

Riassumiamo le operazioni più importanti dei primi sei mesi. Oggi su CityNow il riepilogo dell'altra metà del 2020

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Gli affari e la politica, le estorsioni sugli appalti e i pacchetti di voti da piazzare a sostegno del candidato gradito; e poi ancora violenze e prevaricazioni: il 2020 ha segnato un anno importante nella lotta al crimine organizzato con operazioni minuziose e arresti eccellenti sia tra i membri di primo piano dei grandi casati di ‘ndrangheta, sia tra importanti pezzi delle istituzioni, che con quegli uomini del “contro potere” sarebbero scesi a patti pur di ottenere la spinta necessaria ad ottenere gli agognati voti.

GENNAIO

Il nuovo anno si apre con l’arresto dei presunti esecutori di uno degli omicidi che più aveva colpito la città, precipitandola indietro negli anni bui delle sparatorie continue. Bruno Ielo, tabaccaio sessantaseienne che aveva deciso di tenere aperta la propria attività a Gallico nonostante le numerose minacce ricevute, viene ammazzato il 25 maggio del 2017 sulla strada per Catona. Il commando di fuoco gli spara in testa, come a un boss, per poi lasciare l’arma, una 7,65 con matricola abrasa, sul luogo del delitto. Un chiaro omicidio di mafia che porta la firma, sostengono gli inquirenti, del clan dei Tegano che con quell’azione di sangue volevano riaffermare il proprio potere sul territorio: in carcere finiscono Francesco Polimeni, Cosimo Scaramozzino e Francesco Dattilo, considerato esecutore materiale del delitto.

Passano 10 giorni e gli uomini della polizia, coordinati dalla distrettuale antimafia dello stretto, chiudono il cerchio sull’indagine Helianthus che ricostruisce l’intero organigramma della cosca dei Labate “ti mangiu” facendo luce su una serie di estorsioni ad aziende che operano nel settore edilizio e in quello della distribuzione alimentare. In 14 finiscono in manette in un’operazione che ha riguardato anche i territori di Roma, Cosenza, Udine e Livorno: tra loro anche Pietro Labate (già in galera dopo un lungo periodo di latitanza e considerato il capo indiscusso del sodalizio criminale), il fratello Antonino e il cognato Rocco Cassone (considerati reggenti della cosca durante il periodo di latitanza del boss) e le nuove leve del clan.

FEBBRAIO

Nel mese in cui viene individuata anche in Italia la prima coppia di turisti cinesi contagiati dal virus del Covid, la distrettuale antimafia di Reggio porta a termine un altro colpo, ricostruendo le dinamiche criminali operanti sul versante tirrenico d’Aspromonte. Nella zona compresa tra Sant’Eufemia e Sinopoli, finiscono in manette in 65, tutti sospettati di galleggiare nell’orbita della cosca Alvaro. Tra gli arrestati, oltre ai presunti pezzi da 90 dell’articolazione santeufemiese del clan, anche due recordmen di preferenze politiche come Antonino Cannizzaro (già presidente del parco d’Aspromonte e da pochissimi giorni eletto, nelle file di Fratelli d’Italia, consigliere regionale) e Marco Siclari, Senatore della Repubblica eletto nelle file di Forza Italia per cui gli inquirenti hanno chiesto (e sono ancora in attesa di una risposta da parte della Camera alta del Parlamento) l’autorizzazione a procedere. Entrambi i politici, sostengono gli inquirenti che hanno chiuso le indagini nel mese di novembre, avrebbero chiesto e ottenuto il sostegno elettorale degli uomini del clan, stringendo veri e propri patti in grado di spostare pacchi e pacchi di voti.

MARZO

In un mese avaro di grandi operazioni antimafia, i carabinieri di Bianco e di Locri riescono però a piazzare un colpo importante nella ricerca dei latitanti, riuscendo a catturare, dopo una fuga che durava ormai da quasi un anno, Cesare Antonio Cordì, pezzo da 90 del clan egemone a Locri e sfuggito all’operazione “Riscatto” dell’agosto del 2019. Cordì viene intercettato grazie all’intuizione degli investigatori che seguendo un possibile contatto del ricercato – siamo nel pieno del primo, severissimo lockdown e le persone per strada sono veramente poche – scovano il latitante in un appartamento anonimo di Contrada Monica a Bruzzano Zeffirio.

MAGGIO

Nella città dello Stretto, le famiglie di ‘ndrangheta riescono ad inserirsi in tutti i settori sensibili dell’economia, finendo (come era successo anche a Locri appena qualche mese prima) anche per appropriarsi di quanto avveniva nei cimiteri cittadini: una sorta di padroni della morte anche oltre la morte stessa. A scoperchiare l’ennesima cloaca ad opera dei clan di mafia, l’operazione “Cemetery Boss” della polizia che all’alba del 26 maggio mette le manette a dieci presunti esponenti delle famiglie dei Rosmini (clan nell’orbita dei Serraino) e degli Zindato (considerati vicini alla famiglia Libri) entrambe operanti nei quartieri di Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra.

Secondo quanto scoperto dai magistrati della distrettuale antimafia, i Rosmini erano ormai diventati i “padroni” del cimitero di Modena, gestendo praticamente in condizioni di monopolio, tutte le attività tipiche di un cimitero: dalla tumulazione delle salme fino ai lavori edilizi all’interno della struttura. In quell’occasione gli investigatori della polizia arrestarono anche il dirigente responsabile dei servizi cimiteriali di Reggio, Carmelo Manglaviti.

GIUGNO

Alle soglie dell’estate, sono le famiglie più importanti del mandamento reggino a finire sotto la lente della distrettuale antimafia dello Stretto che stringe il cappio sugli interessi (e le malcelate antipatie economiche) del clan dei De Stefano al cui interno, scoprono gli investigatori, alcuni equilibri che si consideravano consolidati, si sfaldano, portando i contendenti alle soglie di una svolta armata, per fortuna della città mai concretizzata. Le lunghe indagini della polizia hanno infatti scoperto i malumori di un pezzo da 90 come Luigi Molinetti che mal vedeva l’autorità sul clan da parte di Carmine De Stefano, considerato dagli inquirenti come boss indiscusso.

Ma oltre ai contrasti economici tra le varie anime della consorteria – che derivano da alcune mancate ripartizioni “interne” rispetto alle estorsioni messe in campo dagli uomini della famiglia – l’aspetto che maggiormente salta agli occhi dalla monumentale ordinanza che segna l’arresto di una ventina tra capi e gregari del sodalizio, è l’assoluta capacità degli indagati di intervenire sull’aspetto economico della città, condizionandone completamente l’andamento. Erano i De Stefano a stabilire chi dovesse pagare e quanto tra le attività del centro cittadino; ed erano sempre i De Stefano e i loro sodali che stabilivano da chi quell’imprenditore dovesse rifornirsi o a chi dovesse rivolgersi per non fare torto al clan.