Così hanno preso “l’operaio” del clan: tre anni in fuga, nascosto in un casolare sperduto in Aspromonte

Delfino avrebbe ricevuto l’affiliazione al clan degli Alvaro direttamente in carcere. Era un soldato della cosca

Rifugio Latitante

Nelle intercettazioni che lo inchiodano come organico agli Alvaro, gli stessi affiliati al clan lo chiamavano “il latitante”. Un nomignolo azzeccato visto che Rocco Graziano Delfino era scappato dagli arresti domiciliari nell’agosto del 2017, all’alba di una condanna in appello a 4 anni e 4 mesi di reclusione.

ROCCO GRAZIANO DELFINO, TRE ANNI IN IN FUGA

E latitante era rimasto anche dopo essere stato condannato in via definitiva a 12 anni per essere un membro attivo della potentissima cosca Alvaro, e dopo una nuova richiesta d’arresto nell’indagine che ha terremotato il comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Una vita in fuga durata fino a mercoledì sera, quando i carabinieri di Palmi e i cacciatori dell’arma lo hanno scovato sull’Aspromonte, in una zona impervia della montagna, nel territorio comunale del paese in cui ha sempre vissuto.

Una latitanza “classica” trascorsa non troppo lontano da casa sua, come accade nella maggior parte dei casi di tanti capi e gregari dei clan che non si allontanano mai troppo dalle rispettive zone d’influenza, soprattutto durante i periodi di ricerche più serrate.

Giocare questa partita “in casa”, dove i contatti familiari sono più solidi e le possibilità di nascondersi tra le asperità della montagna sono maggiori, è una strategia comune e ben conosciuta dagli investigatori dell’arma che infatti hanno stretto il cerchio, riuscendo a trovare Delfino in un rifugio isolato, dove si nascondeva in compagnia del fratello e di un altra persona, entrambi ora indagati per favoreggiamento alla latitanza. I militari durante le perquisizioni hanno trovato una calibro 6,35 con la matricola abrasa e una serie di documenti falsi utilizzati da Delfino durante i suoi spostamenti da fuggiasco.

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Condannato per reati che vanno dalle rapine al traffico di droga passando per il possesso di armi e le estorsioni, Rocco Delfino viene ritenuto dagli inquirenti organico del clan degli Alvaro «partecipe al locale di ‘ndrangheta di Santa Eufemia d’Aspromonte ancora più specificatamente alla frangia riferibile a Laurendi Domenico».

Delfino avrebbe ricevuto l’affiliazione al clan degli Alvaro – rivelano i pentiti ai magistrati della distrettuale antimafia di Reggio – direttamente in carcere, durante un periodo di reclusione nella sezione di massima sicurezza del penitenziario di Palmi. Il Giudice per le indagini preliminari di Reggio, nell’ordinanza Eyphemos che ha portato all’arresto di 65 presunti affiliati al clan, lo bolla come un “soldato” della cosca, che si muove «ad un livello più basso» rispetto ai capi dell’organizzazione ma che all’interno della stessa si era ritagliato un suo spazio criminale, finendo per fare da tramite e da messaggero, anche durante il periodo passato a nascondersi dalle forze di polizia, tra i vari esponenti della cosca.

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