Arresto Longo, così l’ex direttrice aiutò Scopelliti

"Quella pratica è tutto a posto, è stata evasa positivamente e tutti i documenti sono a posto"


«Quieto vivere»: così il collaboratore di giustizia Francesco Trunfio chiama il sistema che, sotto la lunga gestione dell’ex direttrice Maria Carmela Longo, si sarebbe creato all’interno del carcere di Reggio Calabria.

Un quieto vivere che, dice ancora il collaboratore ex “soldato” dei Piromalli «la direzione ha interesse a mantenere».

E del “quieto vivere” della casa circondariale dello Stretto, avrebbero usufruito, con differenze tra le cosche della città e quelle dei mandamenti provinciali, alcuni tra i nomi più pesanti del crimine organizzato del reggino. Ma non c’erano solo i mammasantissima delle cosche nel pensiero della ex direttrice – dal 2019 in forza alla sezione femminile del carcere romano di Rebibbia – che parte delle proprie attenzioni le avrebbe dedicate anche a personaggi che hanno rivestito, nel tempo, posizioni di potere. Come l’ex presidente della Regione ed ex sindaco della città, Giuseppe Scopelliti, e come l’avvocato Paolo Romeo, considerato dagli inquirenti come eminenza grigia del nuovo livello criminale ipotizzato dall’indagine ghota.

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Nell’ottobre del 2018 l’ex numero uno della Regione è in attesa di ricevere una risposta sulla richiesta per un lavoro esterno al carcere.

Una situazione comune a tanti detenuti ma per la quale, in prima persona, scende in gioco addirittura l’ex direttrice, in procinto di essere trasferita nella capitale, che ingaggia «una corsa contro il tempo – annota amaramente il Gip – perché ci tiene a lasciare la città di Reggio Calabria facendo l’ennesimo favore ad un detenuto d’eccellenza».

Un impegno che corre oltre ogni compito di stringente competenza per la Longo (e che non costituisce materia d’indagine), ma che, contestualmente, mostra il grado di disponibilità che il funzionario dell’amministrazione penitenziaria avrebbe dimostrato nei confronti di alcuni detenuti.

I primi movimenti dell’ex direttrice arrivano alla fine di ottobre, quando, sostengono gli inquirenti, avrebbe riferito alla moglie dell’ex sindaco la strada da seguire per ottenere l’autorizzazione al lavoro esterno.

Dopo pochi giorni, nella partita entrano anche il fratello dell’ex sindaco e il rappresentante del consiglio nazionale dell’Asi, Agliano che, a tavolino, discutono di come fare per vincere le resistenze probabili del magistrato di sorveglianza; per assicurarsi che l’iter della pratica vada a buon fine i due si rallegrano che negli uffici del Dap lavori una donna, sorella dell’avvocato Antonino Aloi, a cui chiedere un incontro «per accelerare i tempi dell’autorizzazione in favore dello Scopelliti».

Per la fine del mese le cose sembrano avere preso la piega sperata tanto che lo stesso Aloi informa il fratello dell’ex Governatore che «quella pratica è tutto a posto, è stata evasa positivamente e tutti i documenti sono a posto», ma non tutto gira per il verso auspicato e l’iter si protrae fino a dicembre quando arriva l’autorizzazione da parte del magistrato che boccia però l’ipotesi che il detenuto possa trascorrere a casa il sabato, costringendo la pratica a rifare tutto l’iter con le modifiche richieste.

È la stessa direttrice che informa Agliano della decisione del giudice ed è sempre la Longo che chiama il fratello dell’ex sindaco per assicurarlo di avere visto il detenuto «che abbiamo chiacchierato per due orette e abbiamo elaborato una strategia» e di avere «replicato al magistrato».