Piantata in Calabria ma proiettata nel mondo: la ‘ndrangheta secondo il rapporto della Dia
L’ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia traccia l’ennesimo quadro a tinte fosche sul versante del crimine organizzato in salsa calabrese
17 Luglio 2020 - 16:48 | Vincenzo Imperitura
Sommersa «ma molto attiva sul fronte affaristico criminale»; silente, ma in grado di intervenire, armi in mano, se le cose non filano così come le cosche avevano messo in preventivo: l’ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia – relativo al secondo semestre del 2019 – traccia l’ennesimo quadro a tinte fosche sul versante del crimine organizzato in salsa calabrese. Un quadro che segna i continui affondi di forze dell’ordine e magistratura e, contestualmente, la capacità delle cosche che operano nei tre mandamenti reggini (città, tirrenico e jonico) di insinuarsi nelle (larghe) maglie della disastrata economia globale e della politica nostrana.
«Purtroppo – diceva durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente della corte d’Appello di Reggio Calabria – non si è ancora riusciti a far comprendere come il contrasto alla ‘ndrangheta sia un grande problema dell’intero Paese, che ormai ne è pervaso, se essa corrode la stessa democrazia nei metodi di ricerca del consenso, nella libera composizione di assemblee elettive, nelle regole del libero mercato».
E a sottolineare il carattere duale della ‘ndrangheta reggina – capace di rimanere saldamente piantata nel territorio di origine e, contestualmente, in grado di colonizzare come una moderna e spregiudicata holding finanziaria i quattro angoli del pianeta – gli uomini della Dia sottolineano le operazioni che, ancora una volta, ricostruiscono il filo rosso che collega le sponde del Mediterraneo a quelle dell’Atlantico. Come nel caso della “Canadian ndrangheta connection” che, nel luglio dello scorso anno, con l’arresto di 14 presunti affiliati, portò alla luce una sorta di “camera di compensazione” tra la struttura operante in Ontario e la “casa madre” a Siderno, entrambe legate alla potentissima consorteria dei Commisso.
Un legame, quello tra il Canada e la malavita reggina, che proprio una manciata di giorni fa è tornato agli onori della cronaca con l’omicidio eclatante di “Fat” Pat Musitano, giustiziato a colpi di arma da fuoco in un ricco sobborgo di Toronto. E se le “colonie” sparse per il globo rappresentano il fulcro del potere economico finanziario delle cosche – la ‘ndrangheta, sottolinea il rapporto, è l’unica organizzazione criminale che, grazie al quasi monopolio del traffico di cocaina, dispone di enormi capacità di denaro liquido e immediatamente pronto a essere immesso nell’economia legale – il “feudo” delle cosche, rimane saldamente ancorato in Calabria.
Sono poco più di cento infatti (103) le cosche che opererebbero nella sola provincia reggina che racchiude nei suoi confini almeno un paio di quelle che sono considerate, loro malgrado, alcune delle capitali mondiali della ‘ndrangheta. E se in città, le operazioni delle distrettuali di mezza Italia hanno sottolineato il potere sempre attuale di cosche storiche come quella dei Libri, dei Tegano e dei Condello (con un rigurgito di violenza omicida che ha trovato nuova linfa nel periodo preso in considerazione) anche nei mandamenti della provincia, gli equilibri tra famiglie sottolineati dalle tante operazioni messe in campo dagli inquirenti, sono rimasti pressoché identici agli anni passati, con cosche come quelle dei Piromalli e dei Bellocco sul versante tirrenico, e le “locali” di San Luca e Siderno sul quello Jonico, che continua a esercitare sul territorio uno strapotere soffocante.