Noemi come Antonino, mamma Stefania: “Uomini senza onore e senza dignità. Coraggio, guarisci presto!”
Il lungo sfogo della mamma di Antonino, il bambino di Melito Porto Salvo, anche lui nel 2008 colpito da un proiettile vagante
14 Maggio 2019 - 15:39 | Redazione
E’ giunta qualche minuto fa la lettera di Stefania Gurnari, mamma di Antonino Laganà, giunta in redazione con l’invito di pubblicare il lungo sfogo di una madre afflitta dal dolore dopo tanti anni dal triste episodio.
La lettera ripercorre la storia del figlio di soli tre anni sparato per errore. Stefania ricorda i tragici momenti nei singoli dettagli e tutto il calvario che ha dovuto subire la famiglia.
“Era il 6 giugno 2008, l’estate alle porte e tanta attesa per le vacanze estive, si concludeva il primo anno della scuola dell’infanzia. E invece no……!!! Cosi non è stato. Quel giorno ha segnato per sempre la vita della mia famiglia e sopratutto quella di mio figlio, Antonino Laganà, vittima innocente della criminalità organizzata, o meglio, della “ndrangheta”. Era tutto pronto nel cortile del Santuario di Maria SS di Porto Salvo a Melito (RC) per la recita di fine anno intitolata: “il mondo delle favole”, ma Antonino non fece neppure in tempo a salire sul palco, che la gioia, l’allegria e il chiasso dei bambini si trasformarono in urla, pianti e sangue.
Tanto sangue. Il sangue di mio figlio, appena 3 anni, colpito in bocca da un proiettile vagante. I colpi erano destinati ad un pregiudicato della zona, tale Francesco Borrello, che riporterà solo qualche graffio al ginocchio. Quando mi rendo conto che non erano mortaretti bensì colpi di pistola, cerco di prendere i bambini e scappare via, al riparo. Francesco accanto a me stava bene, cerco di prendere Antonino in braccio e mi accorgo che le mie mani erano sporche di sangue, incredula mi faccio forza per rialzarlo ma il suo volto era diventato una maschera irriconoscibile. Nel frattempo, chi aveva sparato va via lasciando la pistola a terra, gli era caduta e, nella confusione, non ha fatto in tempo a riprenderla. Chi ha sparato non verrà mai identificato. Da quel momento la disperazione più brutta, le urla di aiuto di mio figlio che ancora oggi mi rimbombano nelle orecchie.
Le sue condizioni appaiono subito gravissime, il proiettile è esploso dentro il suo corpicino e si è fermato dietro la nuca. Il primo soccorso a Melito, poi la corsa a Reggio Calabria e infine, la mattina dell’8 giugno, sopraggiunge l’ischemia celebrale e viene trasferito d’urgenza all’ospedale Bambino Gesù di Roma. Rimane in coma farmacologico per circa dieci giorni. In quei giorni cercavo di capire cosa fosse successo, perché quegli spari, perche in piazza e perché davanti ai bambini. Dopotutto solo un sordo non sentiva tutto quel fracasso e un cieco non vedere tutti quei bambini. Ma tutto quel dolore mi aveva come stordita. Intanto i giorni passano e Antonino viene piano piano risvegliato dal coma farmacologico, sia per me che per lui è stato un autentico trauma.
I dottori mi avevano avvisata di essere molto forte poiché Antonino aveva bisogno di una mamma forte e non debole e con le lacrime agli occhi, e da quel punto bisognava ripartire. Non riusciva più a camminare, a parlare e a muoversi: erano i postumi dell’ischemia celebrale, che gli avevano lasciato una emiparesi sinistra per la quale sono stati necessari una decina d’interventi per poterlo stabilizzare. Ma Antonino è forte, ed ero certa potesse farcela. Iniziano mesi e mesi di ricoveri, cure su cure, riprese e ricadute. La sala d’attesa del reparto di neurochirurgia era diventata il nostro salotto, era li che riuscivo a vedere Francesco e Benedetta, anche grazie al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di cui mio marito è dipendente, che in quei lunghi mesi ci ha fornito tutto il supporto, non solo morale e psicologico ma anche, e soprattutto, logistico per poter stare insieme ai nostri bambini che all’poca dei fatti avevano 8 anni Francesco e 1 anno appena Benedetta. Ritorneremo a casa solo per qualche giorno il 9 novembre del 2008, arrivati a casa cerchiamo un centro di neuro riabilitazione perché Antonino ha bisogno di cure continue e costanti. In questo preciso momento la sua vita e le sue abitudini subiscono un nuovo cambiamento: diventa difficile praticare uno sport, partecipare alle feste di compleanno,frequentare l’asilo, tutto diviene pressoché impossibile considerati i continui controlli ospedalieri a cui doveva sottoporsi e che, per i primi due anni, erano piuttosto frequenti. Tutt’ora Antonino convive con un frammento di proiettile nella carotide.
La mia domanda è: “ma perché dopo 11 anni stiamo ancora a raccontare di un’altra bambina ferita durante un agguato mafioso?” Antonino prima di Noemi, e come loro anche le storie che abbiamo già troppe volte raccontato di Gianluca Canonico, o quella di Dodò Gabriele, di Mariangela Anzalone , Cocò Campolongo e tanti altri bambini vittime inconsapevoli di uomini che si definiscono ” d’onore”; ma quale onore? Questi sono “uomini” senza onore e senza dignità. Mi rammarico quando sento dire: “si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato”, oppure, “la mafia di una volta non toccava donne e bambini”, come se ci fosse la mafia buona e quella cattiva. Adesso veramente basta, chi ha sparato a Noemi come fa a guardarsi allo specchio? A baciare i propri figli? A condurre una vita normale? Ma come caspita fate? Questi uomini che si sentono forti soltanto con una pistola in mano, presentatevi a mani nude, abbiate il coraggio della responsabilità, dopotutto avete solo ridotto una bambina in fin di vita……vigliacchi. Chi quel 6 giugno ha sparato ad Antonino ancora non è stato assicurato alla giustizia ma i mandanti materiali quelli si, e sono stati condannati a 18 anni di carcere con sentenza definitiva della cassazione nell’aprile 2012.
La mia famiglia si è costituita parte civile, e non ho mai abbassato la testa davanti a coloro che si sono resi responsabili del ferimento di mio figlio, non ho mai mancato ad una udienza. Ho chiesto giustizia in un’aula di tribunale come è giusto che sia ma, soprattutto, sono tornata a vivere a Melito Porto Salvo. Mentre scrivo Antonino è in gita a Firenze e il mese prossimo affronterà gli esami di terza media e, come ogni ragazzino della sua età, pieno di dubbi, domande e paure, con tanta fatica ha raggiunto una certa stabilità e quando mi ha chiesto cosa gli fosse successo, io gli ho raccontato la verità e quando sono stata io a chiedergli cosa lui ricordasse, mi ha risposto “un uomo senza testa (chi ha sparato indossava il casco) una scintilla arancione e un carabiniere”. Se oggi sono qui a poter raccontare la storia di Antonino, per dimostrare vicinanza e solidarietà alla famiglia di Noemi, lo devo anche e soprattutto alle donne ed agli uomini delle forze dell’ordine che sin dai primi istanti hanno dimostrato tutta la loro umanità nel manifestarmi la loro vicinanza. In particolare un ringraziamento lo rivolgo ai carabinieri guidati dal capitano Onofrio Panebianco che, grazie ad un’attività di indagine certosina, sono riusciti ad assicurare i responsabili alla giustizia. La mia gratitudine va anche a tutte le istituzioni politiche che mai mi hanno fatto mancare il loro supporto e la loro vicinanza.
Il ringraziamento più grande ed accorato lo rivolgo al dottor Giovanni Musarò, il Pubblico Ministero che tutta Italia ha conosciuto di recente per aver impresso una decisiva svolta al caso Cucchi e che noi, nel distretto giudiziario di Reggio Calabria, abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare per la sua tenacia, intransigenza, preparazione e devozione totale al suo lavoro grazie al quale, il ferimento di Antonino, ha conosciuto giustizia. Lui, con la sua inchiesta denominata “Crimine” ha riscritto la storia della ‘ndrangheta per come la conoscevamo e, sempre lui, grazie alle sue indagini, ha accesso i riflettori sulla storia di Maria Concetta Cacciola. E’ grazie a lui ed al suo modo di intendere la giustizia che non ho mai smesso di avere fiducia in quest’ultima. Un ruolo fondamentale, oltre a quanti già citati, lo ha svolto l’associazione Libera, guidata da don Luigi Ciotti, che non mi ha mai fatto mancare il suo supporto, anche e soprattutto durante le udienze, supportandomi quando in aula non eravamo solo io e mio marito, ma al nostro fianco c’erano tantissimi ragazzi e ragazze dell’associazione e non solo, arrivati in Cassazione,abbiamo avuto l’avvocato Enza Rando e Lucia Lipari il cui supporto è stato fondamentale e determinante per giungere alle condanne definitive. Un appello accorato lo voglio rivolgere alle donne che stanno accanto a questi “uomini d’onore”, alle madri dei loro figli: questi uomini rovineranno anche la vita dei vostri figli li condurranno dritti al carcere se non alla morte. Don Italo Calabrò diceva: “a voi uomini di mafia, se non potete più uscire da questa organizzazione criminale, quanto meno non fateci entrare i vostri figli”. Comprendo che la strada da percorrere è molto lunga e in salita ma comprendo anche che non si può morire o rimanere feriti solo perche passeggi, stai seduto in un bar per un caffè o solo perché gioca in piazza. Adesso basta !!! Alla piccola Noemi faccio un augurio speciale che non è solo quello di rivederla presto correre e giocare, ma di essere testimone vivente della violenza criminale di uomini senza nessun credo se non quello della violenza e della sopraffazione. Mentre scrivo queste ultime righe, al TG annunciano che hanno arrestato il presunto autore della sparatoria e il fratello dello stesso, accusato di avergli garantito copertura durante questi sette giorni di latitanza.
La gioia che provo nel mio cuore per questa notizia, credo sia la stessa che abbiate provato voi appena appresa. La gioia, tuttavia, per essere piena deve essere accompagnata da una giustizia giusta che infligga una pena severa a questi criminali che si macchiano di crimini orrendi in nome di un onore che solo con la violenza ed una pistola in mano pensano di poter avere. Coraggio piccola Noemi, le tue bambole ti stanno aspettando per giocarci insieme. E quando sarai guarita, mi piacerebbe tanto incontrare te e la tua famiglia”.
STEFANIA GURNARI
MAMMA DI ANTONINO LAGANA’