Festa della Madonna tra ieri e oggi, Don Valerio Chiovaro: “In queste ore Reggio è un intreccio di amore e speranza”


di Federica Campolo – La partecipazione dei reggini alla festività in onore della Madonna della Consolazione, che ricorre durante la seconda settimana di settembre, rinnova ogni anno l’antica devozione della città alla sua Santa Patrona. Sontuosa e solenne, la Sacra effigie, custodita nel Santuario dell’Eremo, raduna attorno a sé decine di migliaia di fedeli che giungono da tutta la provincia per rendere omaggio all’Avvocata del popolo reggino.

In un trionfo di usanze e tradizioni, Reggio continua ad invocare la protezione della Vergine: il passaggio della Vara tra le strade gremite di fedeli, rappresenta per i reggini un momento di straordinaria intensità, capace di fondere devozione e commozione al grido di “Oggi, e sempre, Viva Maria”. Le braccia protese in preghiera verso l’effigie, i piedi scalzi che seguono la processione, la forza dei portatori provata dalla fatica ma mai spenta dalla fierezza del loro mandato: queste sono solo alcune delle pratiche devozionali mediante le quali i reggini esprimono la propria fede e riconoscono, nello sguardo consolatore della Vergine, la propria appartenenza alla comunità.

Quali sono i ricordi che queste tradizioni hanno consegnato alla memoria della città? Quale il futuro che attende un culto così antico? A raccontarcelo è un reggino DOC, don Valerio Chiovaro, parroco di Santa Maria Cattolica dei Greci, direttore della pastorale universitaria e presidente dell’associazione Attendiamo Onlus.

La festa della Madonna della Consolazione è un appuntamento che accomuna diverse generazioni reggine.  Come la viveva quand’era bambino?

Nel tutt’uno della mia storia, la festività mariana è l’intreccio tra un amore e una speranza, e ogni volta che amore e speranza si intrecciano, nasce la consolazione. Quando ero bambino la festa della Madonna era la fine dell’estate, la vivevo come l’ultimo grande botto in preparazione all’impegno scolastico. Nella zona del santuario dell’Eremo, dove con la mia famiglia vivevo nel periodo estivo, la festa aveva inizio il venerdì sera; quando ero piccolo io, per le strade non c’era il profumo della salsiccia ma dello zucchero filato e della calia, ovvero i ceci tostati nella sabbia.  Tutto aveva quindi inizio il venerdì con le chiacchierate, tra storie e bei racconti, sul balcone della nonna. Il giorno dopo ci si alzava presto e si sentiva il botto. L’uscita della Vara dal Santuario veniva accompagnata da un forte botto, scoppiato da un tale Pauleddu, per indicare l’inizio della processione.  Dopo lo scoppio, scendevamo sul Corso Garibaldi dove, dal balcone di casa di una mia zia, vedevamo il passaggio della processione e attendevamo il pranzo. Da bambino vivevo la festa della Madonna come una festa di famiglia, che ci raccoglieva attorno a dei luoghi, l’ Eremo e il Corso Garibaldi, e attorno a delle persone, la zia Maria, che portando il nome della Madonna festeggiava l’onomastico nello stesso giorno.

Cosa è cambiato tra ieri e oggi nel modo di vivere questa ricorrenza?

Penso che le pratiche siano rimaste sostanzialmente uguali: la cosa bella del rito è che creando struttura, crea continuità. Pur nel cambiamento dei tempi, il rito conferisce stabilità alle cose che si perpetuano negli anni. Sostanzialmente non è cambiato il rito, probabilmente è cambiato il sentire. Si avverte un aspetto devozionale differente. La valutazione della dimensione dello spirito è così soggettiva e personale che è difficile entrare nel cuore della gente e capire quanto questo momento sia episodico o rappresenti un avvenimento che crea continuità nella vita di ogni giorno. Quello che credo sia auspicabile è che, la bellezza della fede di popolo in cammino che si vede nei giorni di questa ricorrenza, sia poi seguitata nel corso dell’anno e dia forma ad una vita più bella, più piena, più mariana.

C’è qualche detto popolare, tra i tanti dedicati alle festività mariane, che più di tutti le sta a cuore?

Io riempirei di contenuto il motto “E griramulu cu tuttu u cori: oggi e sempre evviva Maria”. Ci sono grida che si fanno col cuore, e grida che si fanno con la voce. Più il cuore grida, più Dio sente;  e quando il grido del cuore ferisce l’orecchio di Dio, si trasforma in preghiera. Dare spazio a questo tipo di devozione ha tanto più significato quanto più diventa un momento di ripensamento collettivo e riposizionamento spirituale.

Lei conosce bene il mondo giovanile. In che modo i ragazzi, anche gli studenti fuori sede, vivono oggi questa festa?

In genere è un’occasione per ritardare la partenza.  Sicuramente per molti è un appuntamento collettivo che non vogliono perdere; anche i più distratti e festaioli percepiscono questa festa come l’opportunità di vivere una dimensione diversa. Penso che ci sia qualcosa di più della  semplice tradizione. Riunirsi per mangiare insieme il famoso panino con la salsiccia è un fenomeno che va letto con meno superficialità: fa parte di un rito strutturante del quale i giovani hanno bisogno. La festa popolare si innesta in una dimensione che attinge alla pienezza della persona e per questo è caratterizzata da elementi ricorrenti: il momento di spiritualità (la liturgia), il momento di fatica (la processione), il momento di convivio (la condivisione del cibo), il momento di gioco e  di svago (le giostre, le bancarelle); diventa così la sintesi di una vita piena. Se noi adulti non siamo capaci di conferire riti significativi, i giovani hanno bisogno di cercarli altrove; un rito crea stabilità e i giovani sono alla ricerca di una stabilità che, anche attraverso queste forme, si apre alla convivialità.

In questi giorni la città rinnova la propria devozione a Maria. Quale messaggio ci vuole consegnare?

Che la Madonna della Consolazione aiuti la città di Reggio a una lettura profetica del momento che sta vivendo perché i giovani possano cogliere, nelle alterne vicende della storia, l’amen di Dio che è espressione vera di consolazione autentica.