Il reggino Claudio Cordova al Festival del Giornalismo: “Senza paura e ad alta voce, cosi si sconfigge la ‘ndrangheta”


di Pasquale Romano – Il coraggio come unica arma. E’ un mestiere maledettamente complicato quello del giornalista, quando i temi da trattare riguardano la cronaca nera e giudiziaria. La Calabria è una terra arida e fertile allo stesso tempo. Non mancano (purtroppo) le notizie in materia, a difettare è la speranza nel vederle un giorno sparire da edicole e testate on-line. Un triste primato da combattere, una piaga sociale che ha allungato i propri tentacoli verso territori più floridi.

Claudio Cordova, direttore responsabile de ‘Il Dispaccio’, nei giorni scorsi è stato tra i relatori del decimo Festival del Giornalismo, svoltosi a Perugia. Un appuntamento importante e consolidato per chi fa dell’informazione il proprio mestiere, l’Umbria per qualche giorno diventa l’epicentro internazione del giornalismo. “Sono onorato di averne fatto parte per la seconda volta, si tratta di un’occasione unica per conoscere colleghi illustri. Si discute di tutto -rivela ai microfoni di City Now- dalla ricerca delle notizie alle fonti e la censura. Si incontrano persone che hanno vissuto storie incredibili e corso enormi rischi”.

Unico calabrese tra i relatori di un Festival dal respiro internazionale, Cordova ha spiegato quali sono le difficoltà, le dinamiche, le paure da affrontare quando bisogna raccontare la mafia, le complicazioni legate al conviverci quotidianamente: “Senza la paura, non esisterebbe il coraggio. La vera sfida non è provare a non averla, ma vincerla. E’ anche grazie alla paura che ci sentiamo umani, ma questo non deve assolutamente fermare la nostra forza nel voler raccontare la verità, anche se viviamo in una terra complicata”.

Tutto da perdere? Così sembrerebbe ad un primo sguardo. Occuparsi di ‘ndrangheta, per un giornalista, non racchiude soltanto timori e rischi. Cordova racconta quali sono le motivazioni che spingono ad allontanare le paure: “Qualcuno potrebbe chiedersi ‘Ma chi glielo fa fare?’, io invece credo che raccontare questi fatti aiuti a smuovere le coscienze e a migliorare il territorio nel quale viviamo. Sarò un pazzo o sognatore ma voglio pensare che la nostra azione abbia un senso e una utilità”.

Inevitabile, in materia di mafia, affrontare l’argomento di stretta attualità. L’intervista a ‘Porta a Porta’ di Salvatore Riina, figlio di Totò, ha scatenato un dibattito popolare e politico. Il direttore de ‘Il Dispaccio’ non critica la scelta ma i metodi utilizzati: “Potendo farlo, anche io vorrei intervistare i boss mafiosi, facendo però le domande opportune e pretendendo una risposta. Ho visto un comizio poco utile, peraltro nella tv pubblica. Serviva il coltello tra i denti, invece c’è stata solo accondiscendenza”.

Nuove frontiere dell’intimidazione. Se una volta, specie in terra siciliana, si utilizzava una brutale fisicità per chiudere la bocca a giornalisti e magistrati, adesso si scelgono vie diverse, subdole ma ugualmente in grado di centrare il bersaglio: “Querele, richieste di risarcimento milionarie, cosi si cerca di ostacolare il lavoro di noi giornalisti. E’ un’azione che spesso ottiene il risultato, da una richiesta di risarcimento infatti o si perde o si pareggia. La vittoria, anche se dimostriamo di avere ragione, non è contemplata“.

Voglia di ribellarsi. In Sicilia una forte presa di coscienza ha risvegliato il coraggio dei cittadini, la Calabria (seppur timidamente) prova a seguirne le orme. E’ una battaglia antica, che si gioca ad armi impari. Sconfiggere il male dei mali (che si chiami ‘ndrangheta, mafia o camorra) è davvero possibile o é solo utopia? “Io vedo una fiammella di speranza per noi calabresi, negli ultimi anni -assicura Cordova- ho notato un piccolo miglioramento. La ‘ndrangheta ci fa essere più poveri e toglie ogni possibilità di legalità e meritocrazia,  bisogna far emergere questo concetto. Ancora in Calabria ci si fida poco del prossimo e delle istituzioni, non siamo ancora una comunità forte e unita ma una realtà individuale”.

Se una vittoria è possibile, quali i metodi per ottenerla? Un segnale semplice ma inequivocabile potrebbe darlo chiunque. Per cancellare decenni di omertà e angosce non serve una rivoluzione culturale ma un cambio di atteggiamento: “Urlare la propria indignazione, non avere paura di fare i nomi. Quando due amici, discutendo al bar, parleranno di criminali senza nascondersi e abbassare la voce, saremo più vicini al traguardo”.