Lo chiamavano Jeeg Robot, recensione

Lo chiamavano Jeeg Robot

di Gianni Vittorio – Finalmente un film originale, ben fatto, che sa mescolare con equilibrio fantascienza, thriller, dramma e romance. Stiamo parlando del nuovo film di Gabriele Mainetti – Lo chiamavano Jeeg Robot.

Un piccolo delinquente di borgata, Enzo Ceccotti, anestetizzato da porno e budini alla vaniglia in una Roma bersaglio di attentati terroristici. Una sostanza radioattiva capace di dotarlo di una forza sovrumana. Una giovane donna-bambina, Alessia, che lo crede Hiroshi Shiba, il supereroe dell’anime giapponese e un’antagonista ambizioso e psicopatico, lo Zingaro, con spiccate aspirazioni criminali.

Gli elementi del cinecomic ci sono tutti: un antieroe interpretato dal bravo Santamaria, che prende consapevolezza lentamente della propria responsabilità, il criminale da combattere, un villain , che ama a dismisura la musica al femminile degli anni 80, e con un bisogno disperato di apparire, un innocente da salvare.

Ma la bravura del regista Mainetti è stata quella di aver saputo contestualizzare l’impianto narrativo di genere in una location nuova, diversa dai soliti stereotipi, rappresentata da una Roma presa di mira dagli attentati terroristici.

Una buona notizia per il nostro cinema italiano, che ha saputo ampliare i suoi orizzonti.

Gianni Vittorio – Presidente Associazione Fahrenheit 451