Ruggero Pegna racconta la commovente storia di un migrante somalo

“Sono attonito  – afferma Pegna – davanti a

“Sono attonito  – afferma Pegna – davanti ai continui interventi che leggo sui social inneggianti all’uccisione del migrante di Rosarno e all’auspicabile, secondo molti, prosecuzione di atti del genere. Eppure, solo l’altro giorno, il web era pieno di messaggi di persone indignate per l’uccisione di un toro in una piazza di Reggio Calabria. Possibile non riuscire a salvare la vita di quel povero animale impaurito? Un segnale importante, seppur rivolto verso una bestia, che mi ha fatto pensare a come possano crescere sensibilità, cultura e civiltà in luoghi dove, fin troppo spesso, un’arma è stata usata contro l’uomo.

Solo qualche giorno dopo, l’ondata di consensi indirizzata all’accaduto di Rosarno mi ha riportato nella realtà. Una realtà fatta di contraddizioni, di impietose reazioni istintive che delineano in modo netto come tra animali ed uomini, spesso, non viene fatta differenza.

Non entro nel merito di giudizi sull’operato del carabiniere. Per farlo, bisognava essere al suo posto, in quel luogo e nella sua coscienza. Una domanda è, comunque, legittima: possibile che un militare, pronto e addestrato a gestire emergenze, a confrontarsi con drammi e tragedie, a giurare il proprio sacrificio anche a rischio della propria vita, non trovi altra soluzione per evitare di uccidere un toro? Chiedo scusa, un uomo! La speranza che, ad accentuare la sensazione di pericolo, non sia stato anche il colore della pelle, mi conforta; mentre mi fa paura il solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se gli altri avessero reagito: dieci, venti, cento morti?

Certamente, ognuno ha diritto a difendersi, a salvare la propria vita. Pur convinto che, in questo caso, il carabiniere abbia percepito l’impossibilità di avere altra scelta, il coro da ultras di tanti e l’indifferenza dei più, non attenuano lo sconforto.

In ogni caso, è morto un giovane, stremato da condizioni di vita che stupirebbero molti se, solo al loro posto, ci fossero animali. Ho visto servizi televisivi su maltrattamenti a cani, conigli, sulle invivibili condizioni di maiali e mucche. Tutti indignati.

Possibile che sia normale che, in un Paese come il nostro, esistano baraccopoli e condizioni di vita come quelle di questi Uomini a Rosarno? Una comunità che non sente di piangere i suoi morti, perché lo sono anche queste ragazzi che si alzano alle 4 del mattino per raccogliere le nostre arance come schiavi, e in cui molti esultano, è una comunità ancora più triste e povera.

Possibile che, in una terra che ha dato migliaia di migranti e braccianti come loro al mondo, e non tutte persone perbene, ci sia chi esplode di entusiasmo, come in una corrida, alla mattazione di un migrante, piangendo invece di dolore per quella di un toro, seppur indifeso e impaurito?

La Calabria è troppo distante da Roma, affinché il governo si accorga, ogni tanto, di cosa c’è e accade in questi luoghi?

Ecco, le domande che mi pongo sono tante e tutte mi danno una sgradevole sensazione dentro e sulla pelle. La Terra è di tutti! Chi cerca una vita migliore altrove, poiché senza neppure volerlo è nato e, senza poterlo scegliere, si è trovato in un luogo della Terra dove gli è difficile semplicemente vivere, perché non può desiderare o sognare una vita diversa, solo normale, degna di un uomo, come hanno fatto e continuano a fare tanti calabresi e meridionali?”.