Ricercatrice calabrese scopre in America novità sulla lesione spinale

“La lesione del midollo spinale è stata a lungo

“La lesione del midollo spinale è stata a lungo ritenuta incurabile. Sarebbe un sogno poter trovare una cura per un paralizzato e tornare a farlo camminare”. Ha le idee chiare Elisabetta Mantuano, ricercatrice calabrese cresciuta a Castrolibero, in provincia di Cosenza. Da nove anni Elisabetta lavora al Dipartimento di Patologia dell’Università della California di San Diego.

Le ricerche e i lavori svolti negli ultimi anni da Mantuano e il suo team potrebbero portare a una cura per le malattie neurodegenerative. Una delle sue osservazioni più promettenti -si legge sul quotidianodelsud- è la caratterizzazione della trasduzione di segnale associata ad uno specifico recettore durante un lesione spinale. Importanti scoperte rilevate dalla ricercatrice calabrese sono state pubblicate su numerose riviste di fama internazionale come the Journal of Neuroscience, Science Signaling e the Journal of Biological Chemistry.

Cosa è una lesione spinale, come si verificano? Elisabetta Mantuano spiega, provando a riassumere, quale è il suo universo professionale: “Una lesione spinale o midollare è una lesione che può comportare l’interruzione delle vie nervose ascendenti e discendenti del midollo spinale con conseguente perdita delle sue normali funzioni motorie, sensoriali o autonome. Di solito le lesioni spinali sono il risultato di traumi fisici, come incidenti stradali, cadute o infortuni sportivi, ma può anche derivare da cause non traumatiche come infezioni, insufficiente flusso di sangue o pressione causata da una massa tumorale”.

Il grande sogno americano si è avverato per la ricercatrice calabrese, qualità professionali unite ad una incredibile passione le hanno permesso di ottenere risultati importanti. “Nei primi anni in laboratorio un ricercatore non guadagna molto, dopo si comincia a guadagnare un pò di più grazie ai grant con i quali si finanziano i progetti. Differenze del sistema? Gli Usa sono certamente più meritocratici rispetto all’Italia ma devi essere incredibilmente efficiente e produttivo”.

Non esistono veri orari di lavoro o giorni di festa, tutto è guidato dal sacrificio e dalla volontà che può portare a vere e proprie ‘full immersion’ in laboratorio. “Una ricercatrice che ho fatto venire dall’Italia a lavorare con me, per un periodo, rimaneva in laboratorio fino a mezzanotte e prendeva il taxi tutte le sere perché a quell’ora non passano più autobus. Ma lo faceva perché voleva farlo, non perché era costretta. Il primario del mio dipartimento -racconta la ricercatrice calabrese- il prof. Gonias, spesso mi dice che esagero con i turni di lavoro ma anche lui non riesce a staccare e ci ricorda sempre come sia prezioso il contributo di ogni ricercatore“.