Da Reggio Calabria a Oslo, la storia del pizzaiolo Antonio Guarniera e del suo "Little Italy"

La storia di Antonio Guarniera è quella di tanti

La storia di Antonio Guarniera è quella di tanti altri italiani: la chiamata di un amico già emigrato, il lungo viaggio in cerca di fortuna, poi il tentativo di ritorno e infine la decisione più drastica. Andare via in pianta stabile dall’Italia, per trovare il giusto riconoscimento alle proprie abilità. In questo caso quelle sviluppate praticando la nobile arte della pizza, esportata fino in capo al mondo, a Oslo. È qui che Antonio dispensa la il suo know how nella pizzeria Little Italy.

Com’è arrivato fino in Norvegia a fare il pizzaiolo?

«Sono venuto per la prima volta, da Reggio Calabria, nel 2007. Come tanti altri italiani ho accettato l’invito di un mio amico, un mio ex compagno di scuola che era già qui e si trovava bene. “Vieni, c’è tanto lavoro” mi ha detto. E così sono partito. Poi ho provato a riavvicinarmi a casa, ho fatto una stagione in Svizzera e una in Italia, ma mi sono reso conto che non c’era nulla di adeguato per me. Così sono stato richiamato e ora, dal 2011, sono di nuovo a Oslo».

Qual è il suo background?

«Ho cominciato a lavorare nella ristorazione sin da giovane, da quando avevo 17 anni e frequentavo l’istituto alberghiero. È stata una scelta di vita, perché adoravo cucinare. La pizza ho imparato a farla da mia madre e diventare un pizzaiolo è stata quasi una casualità. Nel primo ristorante dove ho lavorato, a Reggio, mi è capitata l’occasione davanti e mi sono buttato».

E ora è qui a Oslo, che pizzeria è Little Italy?

«Siamo una pizzeria che lavora solo per l’asporto. Ci troviamo proprio al centro della città. L’idea è quella di ingrandirsi, mettere dei tavoli e preparare anche qualche piatto della tradizione italiana».

Qual è il segreto della vostra pizza?

«Nessun segreto. Lavoro in maniera molto tradizionale l’impasto: lo idrato fino al 70% di acqua. Parto dalla farina e aggiungo gradualmente acqua finchè non arrivo alla consistenza che desidero. Poi lo lascio in lievitazione, con lievito di birra, per 24 ore minimo»

Qual è la vostra pizza più venduta?

Ce ne sono diverse, ma una di quelle che vanno di più è una mia creazione. La Little Italy Special, dove ho cercato di proporre re i tortellini panna e prosciutto (uno dei miei piatti preferiti) in versione pizza. La preparo con crema di parmigiano reggiano, mozzarella, funghi champignon e prosciutto. E in uscita aggiungo rucola, scaglie di parmigiano e olio al tartufo. Poi ci sono tutte le grandi classiche (margherita, marinara, diavola) e delle varianti gourmet in cui cerchiamo di valorizzare i grandi prodotti della tradizione italiana. Ad esempio la Prosciutto di Parma Gourmet, con base alla crema parmigiano, funghi porcini, formaggio philadelphia, mozzarella e prosciutto in uscita.

Infine ho voluto portare anche un po’ di Calabria nel menù, pensando a una pizza con ingredienti tipici della mia terra. Sulla Diavola Gourmet metto spianata piccante, ‘nduja, pomodoro, mozzarella e cipolla in agrodolce. Quest’ultima la caramellizzo per ricreare il gusto della cipolla di Tropea, che qui non riesco a trovare».

Che materie prime usate?

«Rigorosamente solo ingredienti italiani: farine italiane, salumi e mozzarelle italiane, pomodoro San Marzano italiano. Siamo poco aperti alle “contaminazioni” anche per quanto riguarda i condimenti della pizza. La proprietà, per caratterizzare l’offerta, ci chiede di pensare solo a ingredienti italiani, al 100%».

Cos’è, dunque, che vi rende unici?

Sicuramente il fatto di essere al 100% italiani: lo staff che si occupa della pizza (2 pizzaioli e un aiutante) è tutto italiano, così come italiani sono ingredienti e materie prime. È la conoscenza della tradizione, ad esempio, che ci rende gli unici in Norvegia a fare la “Scrocchiarella”, una pizza al metro leggera e croccante che richiede due giorni di tempo per la preparazione dell’impasto».

Avete avuto dei riconoscimenti particolari?

«Posso parlarle di quelli che ho ottenuto a livello personale. Dopo aver seguito un corso per pizzaioli sono diventato istruttore. Al mondiale della pizza mi sono classificato tra i primi 20 nella categoria “napoletana”, mentre nel torneo norvegese sono arrivato secondo nel 2014».

Cosa c’è nel suo futuro e in quello di Little Italy?

«Come dicevo poc’anzi, siamo un locale che fa solo asporto, ma vogliamo avere anche uno spazio dove accogliere i nostri clienti. Stiamo pensando a una sala e se ci ingrandiamo, probabilmente, diventerò socio dell’azienda».

Ultima domanda, ha mai pensato di tornare in Italia?

«Mi dispiace dirlo, ma la risposta è no. In Italia torno solo in vacanza. Qui sto bene, mi sono realizzato. Faccio il lavoro che voglio e ho un figlio. Al momento non vedo perché dovrei lasciare tutto…»

Fonte: eccellenzeitaliane.com