Il reggino Fabio Mordà: "Sogno di interpretare Michael Jackson al Palacalafiore"

di Francesco Arcudi - Fabio Mordà, per chi ancora

di Francesco Arcudi – Fabio Mordà, per chi ancora non lo conoscesse a Reggio, è un giovane ballerino/cantante, la cui “missione” è mantenere vivo nella gente il ricordo del suo mito assoluto, Michael Jackson. Potrebbe sembrare uno dei tanti imitatori al mondo di questa icona pop, ma grazie al suo talento e al suo impegno, lui è stato notato da un produttore americano e ha potuto lavorare con ballerini e musicisti di Michael. Ma lasciamo che sia Fabio stesso a raccontarsi e raccontarci.

Quando è cominciata la tua passione per MJ?

“La mia famiglia ha dato sempre molta importanza all’arte e di conseguenza questa passione mi è stata trasmessa. Da piccolo, proprio quando ho cominciato a capire ed apprezzare la musica, ricordo che mio fratello portò a casa l’album HIStory di Michael Jackson. Già dalla copertina capii subito che non si trattava solo di un semplice cantante, d’altronde, nel 1995, quale artista aveva una statua monumentale di se stesso? Per non parlare dei suoni, che sembravano provenire da un altro pianeta. Quando lo vidi per la prima volta in VHS ne rimasi stregato; il suo modo di ballare era una sfida alle leggi della fisica. Ricordo il suo cappello bianco e i suoi mocassini che giravano in una lunghissima pirouette, poi una posa statuaria e il suo inconfondibile urlo. E’ un orgoglio per me essere fan dell’artista di maggior successo di tutti i tempi”.

E quando hai deciso che volevi emularlo?

“Emulare non è la parola giusta, non ho mai voluto essere un sosia o un clone privo d’identità. Desideravo semplicemente “interpretarlo”, rimanendo me stesso. Ricordo che ascoltando le sue canzoni non potevo stare fermo, sentivo che dovevo fare qualcosa. Ballavo davanti ad un riflesso, nemmeno uno specchio, ma ciò che intravedevo cominciava a piacermi. Forse Michael per me era un supereroe; gli altri bambini avevano Spiderman o Batman, io sognavo MJ. E’ nato così, senza volerlo, una semplice passione diventata qualcosa di più. Dopo che il Re del pop ci ha lasciato invece, la parola interpretare ha assunto un altro significato per me… So che è impossibile, ma non vorrei che fosse dimenticato, ecco perché, rendendogli omaggio, desidero mantenere sempre vivo il suo ricordo”.

Come hai cominciato a prepararti? Da solo? Con insegnanti (danza, canto, ecc.)?

“Tutto da solo, o quasi, c’era anche Michael e un piccolo specchio. Guardavo le cassette dei suoi cortometraggi cercando di cogliere ogni minimo dettaglio. Eseguivo le coreografie, ricercando il suo stile, il suo modo di improvvisare e di muoversi; provavo, provavo e provavo ancora una volta, da solo, in camera mia, e quando ritenevo che un passo era pronto per essere presentato, chiamavo la mia famiglia per la mia piccola esibizione. Quando scopri la tua passione, non devi porti limiti, vai avanti, alimentala insieme al tuo talento e tutto verrà da sé”.

Quando invece è cominciata la tua carriera di MJ Tribute Artist?

“Molto presto, il palcoscenico arrivò quasi subito. Le mie prime esibizioni le ricordo con molta dolcezza, ero anche abbastanza timido all’inizio, tenevo il cappello basso e guardavo solo i mocassini. Salire sul palco non fu così terribile come immaginavo, anche se avevo molta paura, la stessa paura che spariva non appena sentivo la musica. Il pubblico poi era dalla mia parte e tutto divenne più semplice. Il canto fu lo step successivo. Una persona molto speciale ha creduto in me; convinta che io potessi anche cantare, mi ha presentato al mio attuale Maestro di canto. Ho studiato per oltre un anno prima di esibirmi live e ad oggi continuo ad allenare la mia voce ogni giorno. Lui ha capito il vero potenziale che avevo nascosto, promettendomi che l’avrebbe tirato fuori; è grazie ai suoi consigli se il canto mi ha portato verso nuove strade nel mondo dello spettacolo. Subito dopo, infatti, abbiamo creato un grande show con una band, ballerini, coristi ed effetti speciali. Iniziò, così, il tour in Italia”.

Come sei stato trovato dal produttore americano?

“Ero ormai abbastanza conosciuto nel mondo di MJ ed un mio video, caricato su YouTube, arrivò evidentemente oltreoceano. Fui contattato dai produttori di The Ultimate Thriller per ricordare Michael in questo magnifico show. Volai ad Orlando, Florida, per il mio primo grande progetto internazionale: una tournée in America. Fu molto gratificante essere apprezzato anche nella patria di Michael”.

Come sei entrato in contatto con i collaboratori di MJ (musicisti, ballerini)?

“Essere il protagonista di una produzione americana, come The Ultimate Thriller, mi ha fatto conoscere gente importante che ha lavorato per molti anni a fianco di Michael Jackson. E’ stato un sogno per me ricevere complimenti da professionisti che hanno visto ballare e cantare Michael ad un passo da loro. Ascoltare storie che lo riguardavano, anche qualche segreto, che lo rendeva più umano, mi ha fatto sentire più vicino a lui. Molti amici di Michael mi hanno detto che con me si sarebbe divertito un sacco, sarebbe stato fantastico! Ho lavorato con Michael Prince, ingegnere del suono di MJ, nel suo studio a Los Angeles; lì ho inciso la mia voce con il microfono che MJ ha usato per registrare la sua… Surreale! Non avrei mai immaginato di poter cantare con il suo stesso microfono! Con Jennifer Batten, la sua chitarrista, ci siamo esibiti insieme in un concerto a Bucarest, l’anno scorso. Posseggo uno dei suoi cappelli Fedora che mi fu donato da LaVelle Smith Jr, suo coreografo e ballerino per oltre 25 anni. Dopo un concerto ho anche conosciuto un cameraman del This is it, che lo ha filmato durante le prove poco prima che ci lasciasse per sempre. Ho visto video privati, ascoltato demo e canzoni inedite e mi sento fortunato; grazie di cuore a chi mi ha dato questo enorme privilegio! Vorrei sottolineare infine che Michael è stato un artista unico e inimitabile, io l’ho amato e continuo ad amarlo, come altre milioni di persone nel mondo. Tramandare il suo messaggio è adesso la mia missione”.

Qual è l’emozione più grande che hai provato durante i tuoi concerti, durante la tua carriera?

“Ce ne sono state tante, difficile sceglierne una, perché quando vivi queste esperienze, sono tutte indimenticabili e non ti abitui mai. Sono emozioni che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero provare. Il pubblico è la mia forza, come per ogni artista, e mi ha regalato le sensazioni più forti. Ricordo un evento in particolare: dovevo esibirmi alla Red Rocks Arena in Colorado e per raggiungere il camerino, dovevo percorre un tunnel scavato nella roccia; alle pareti erano appesi quadri raffiguranti gli artisti che si erano esibiti in quell’arena, uno di seguito all’altro; pochi anni prima Santana, Sting, gli U2 e anche i Beatles in passato erano passati da lì. Mi dissero che la settimana dopo si sarebbe esibito Bruno Mars! Adesso sì che mi sentivo una bella responsabilità! Iniziò il concerto, ricordo che salii sul palcoscenico e davanti a me vidi un muro di 8 mila persone! Confesso che l’onda d’urto delle loro urla mi fece tremare le gambe allora, ma dopo una manciata di secondi, trasformai quella paura in grinta. La folla impazzì, fu un’esperienza bellissima. Quando si forma una connessione così forte tra te e il pubblico comprendi che il tuo messaggio è arrivato!”

Raccontaci un aneddoto per te significativo (se c’è) che riguarda la tua connessione con MJ

“Ho avuto la possibilità di avvicinarmi molto al suo mondo, alla sua essenza. Si respira Michael quando sei a lavoro: il cappello, il microfono, i suoi amici, i suoi collaboratori, ma il momento in cui ho sentito qualcosa di veramente forte è stato al Forest Lawn Memorial Park di Los Angeles, dove lui riposa; fu struggente per me, di una tristezza infinita, in quel momento credo di aver avuto la connessione con MJ di cui parli”.

Hai qualche metodo di preparazione particolare o rito scaramantico prima di un concerto?

“Non ho nessun rito scaramantico, sono più un perfezionista maniaco del controllo per quanto riguarda lo spettacolo. Perciò se tutto va bene è perché abbiamo fatto tutti un ottimo lavoro. Il giorno del concerto è sacro e io devo cercare di non pensare a nulla, se non a cantare, ballare e divertirmi; durante quella giornata ti senti condizionato dal mondo esterno e sei fragile, per questo stai molto attento al tuo corpo e alla tua voce, a ciò che bevi e mangi, sei sotto una sorta di protezione speciale; devo riscaldare muscoli e voce per tempo per poter affrontare 2 ore di concerto così intenso. Sembra tutto luci e gloria ma dietro c’è un grande lavoro mentale e fisico”.

Dopo il concerto poi ci rilassiamo (ride)!

Qual è il tuo rapporto con Reggio? Cosa ti ha dato e cosa tu pensi di dare alla città con il tuo talento?

“Io sono innamorato di Reggio. E’ la mia terra e il senso di appartenenza che sento nel cuore è fortissimo, dobbiamo volerle bene perché è la nostra città. E’ stata la mia culla artistica, è partito tutto da qui. Questa gente ha sempre creduto in me, supportando il mio lavoro e, dopo tanti concerti all’estero, non vedo l’ora di ritornare a esibirmi qui con un grande spettacolo, magari al PalaCalafiore. Sarebbe curioso vedere lo staff di Michael Jackson a Reggio! Ci stiamo lavorando comunque e spero di annunciare al più presto qualcosa di importante”.

Come vedi il tuo futuro?

“Finché il mio corpo me lo permetterà sicuramente ballerò e canterò, poi il futuro è un punto di domanda, una scoperta! La vita riserva a tutti delle grandi sorprese. Una cosa è certa per me: comunque vada, Michael farà parte della mia vita per sempre”.

Auguriamo a Fabio di continuare la sua brillante carriera e di poter realizzare i suoi sogni.