Presentazione del libro “La corruzione spuzza”

Sarà presentato venerdì alle ore 18 all’E-Camp

Sarà presentato venerdì alle ore 18 all’E-Campus, il libro di Raffaele Cantone e Francesco Caringella, “La corruzione spuzza” edito da Mondadori.

La corruzione spuzza, la società corrotta spuzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano spuzza.  Le parole pronunciate da papa Francesco il 21 marzo di due anni fa davanti ai giovani di Scampia, e riportate in esergo, risuonano ancora nelle nostre menti e nei nostri cuori.

«Peccatori sì, corrotti no», cioè il peccato si può perdonare, la corruzione no, aveva già detto il pontefice, con ancora maggiore asprezza, l’11 novembre 2013, durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta, puntando l’indice sui corrotti, la cui «doppia vita» li rende simili a una «putredine verniciata». 

Il messaggio è chiaro: la corruzione è il contrario della cristianità, la negazione dell’altro, il ripudio dell’umanità solidale. È l’antitesi della morale e della coscienza civile, la cancellazione dell’etica sociale e individuale, il tradimento del concetto di Stato.

Il papa ci invita all’indignazione, allo sdegno, all’operosa ribellione. Ognuno di noi, cristiano o laico che sia, deve sentire questa spuzza, schifarsi, provare ribrezzo per chi mette le mani nelle tasche di tutti e ruba il futuro ai nostri figli.

Non è un caso che il presidente della Repubblica, nell’ultimo discorso di fine anno, abbia bollato la corruzione come un’illegalità che avvelena il corpo sociale, da combattere con fermezza.

E non è un caso neppure che, il 26 gennaio 2017, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio abbia denunciato l’inaccettabile forbice fra la drammaticità sociale del «problema corruzione» e il ridotto numero di procedimenti penali relativi a questa tipologia di reati (lo 0,5% del contenzioso totale).

In effetti, negli ultimi tempi, leader di partito, politici di ogni colore ed esponenti a tutti i livelli del mondo delle istituzioni hanno espresso, in modo unanime, sdegno e riprovazione per coloro che si macchiano del reato di «corruzione».

Questa presa di coscienza universale, della cui sincerità non abbiamo motivo di dubitare, va però contestualizzata e ricollegata al clima di indignazione esploso negli ultimi anni nel nostro Paese, dopo l’esplosione di una serie di scandali, con tanto di pagamenti di mazzette, quali quelli dell’Expo, del Mose, di «Mafia Capitale», della «Dama nera».

In questa fase storica la questione corruzione l’ha fatta da padrona nei media e nel dibattito pubblico, tanto che molti commentatori si sono affrettati a parlare di una nuova «Tangentopoli».

Tutti (o quasi) hanno pronunciato parole durissime, che vanno al di là di una semplice condanna giuridica o politica e contengono giudizi morali, pesantissimi atti d’accusa contro uomini definiti «squallidi», «schifosi», immeritevoli persino del rispetto umano. Sentimenti di indignazione, ribellione, repulsione, non solo espressi a gran voce, ma anche invocati e sollecitati come reazione della cittadinanza; una denuncia della corruzione come «male assoluto»; un dito puntato contro politici e burocrati che usano il potere per arricchirsi ai danni della collettività.

Ma è sempre stato così? Cioè, è sempre stato questo l’atteggiamento della nostra classe dirigente (e dell’opinione pubblica) nei confronti della corruzione?

Possiamo affermare con tranquillità che nell’opinione pubblica il contrasto alla corruzione sia  sempre stato considerato una priorità?

Le parole di papa Francesco intercettano davvero un sentimento diffuso o vogliono stimolare una reazione per il momento ancora troppo timida ed episodica?

Insomma, la gente prova nei confronti della corruzione il ribrezzo di cui parla, dall’alto del suo magistero morale e religioso, il pontefice?

C’è un’altra domanda da porsi, e alla quale, in parte, si è già implicitamente risposto: al di là dell’indignazione, cosa pensa davvero il cittadino comune della corruzione, come giudica i corrotti, che impulsi prova nei confronti di chi intasca mazzette o si mette a libro paga della criminalità

organizzata?

Nessuno, almeno in linea di principio e in termini astratti, negherebbe mai che la corruzione «è un male», è un grave fenomeno di deviazione rispetto a quei comportamenti che si richiedono per legge, in particolare a chi riveste cariche pubbliche, ed è eticamente censurabile, come dimostrano inconfutabilmente le parole pronunciate da papa Francesco.

Eppure pochi hanno un’adeguata coscienza collettiva del bisogno, etico e pratico, di una reazione.   Noi cittadini abbiamo paura di un furto, di una rapina, di una truffa, molto meno di una tangente che finisce nelle tasche di un politico o di un burocrate. Un appalto pilotato, una licenza edilizia comprata, una sentenza truccata sembrano entità estranee ai nostri destini e ai nostri sogni, vicende che toccano i soldi pubblici, non le nostre finanze personali. Eppure quei denari sono anche nostri, lo Stato siamo noi, la res pubblica è una ricchezza comune:  l’immoralità nella gestione della cosa pubblica  danneggia  tutti, privando i nostri figli  di risorse, prospettive e  opportunità.

È questo lo snodo centrale da cui partire per affrontare il fenomeno della corruzione: il contrasto al malaffare corruttivo necessita assolutamente di un coinvolgimento del maggior numero di cittadini, e ciò per varie ragioni, tutte importanti e concomitanti. Una reazione tanto più necessaria se si considerano i caratteri  che differenziano la  corruzione del terzo millennio rispetto al passato:   una corruzione  organizzata, invisibile, tentacolare, ramificata, mafiosa, senza scrupoli, violenta all’occorrenza. Non ci sono solo passaggi di denaro, ma giri vorticosi e smaterializzati di favori, piaceri e aiuti. Non si assiste all’accordo classico tra corruttore e corrotto ma alla creazione di un’organizzazione attraverso la quale politici, burocrati, imprenditori e mafiosi perseguono   obiettivi comuni.

E’ indispensabile  che la collettività si mobiliti di fronte alla  malattia del secolo.

Ecco, dunque, il nostro obiettivo «utopico» e, insieme, il  nostro sogno e la nostra speranza: tentare anche con la corruzione la medesima operazione culturale realizzata a suo tempo con la mafia, operazione riuscita quando il Paese ha capito che le mafie sono un danno per tutti.

Identica consapevolezza potrà ottenersi per la corruzione, se ci convinceremo di quanto i suoi effetti siano disastrosi per la vita di tutti noi.

Questo libro vuole spiegare come la corruzione, grande o minuta che sia, entri ogni giorno nelle nostre case e metta le mani nelle tasche di ognuno di noi. Non è solo un reato contro la pubblica amministrazione, ma un delitto contro ciascun individuo, un cancro culturale ed etico, una patologia sociale ed economica. E’ un omicidio, una strage, una sottrazione del domani. I soldi che finiscono nelle tasche dei corrotti significano opere pubbliche infinite, edifici che crollano per un terremoto, ospedali inefficienti, cultura al collasso, istruzione in crisi, cervelli in fuga, giustizia drogata, investimenti stranieri lontani, ambiente violentato, immoralità della politica.

La corruzione è un furto di futuro, al quale dobbiamo reagire ogni giorno, con tutte le nostre forze.

E’ necessario rimboccarsi le maniche e lottare, con armi nuove e aggiornate. Le regole e i processi non bastano. Serve la prevenzione, amministrativa e culturale. Serve, soprattutto, la ribellione indignata di ogni cittadino di fronte a quella “spuzza” di cui ha parlato Papa Francesco nell’indimenticabile discorso tenuto il 21 marzo 2015 davanti ai giovani di Scampia.