"Il Padre d'Italia", Mollo e il suo viaggio al centro del cuore

di Pasquale Romano - 'Il Sud è tanto'. Il tentati

di Pasquale Romano – ‘Il Sud è tanto’. Il tentativo di sintetizzare un film come “Il Padre d’Italia”, opera seconda del regista reggino Fabio Mollo, è esercizio piuttosto complesso. La parafrasi di quello che era il titolo del film d’esordio, serve solo per sottolineare il legame intenso e viscerale che lega Mollo alla sua terra. La Calabria diventa al contempo luogo fisico e onirico, dove l’impossibile diventa possibile.

L’impossibilità di un futuro per i due protagonisti, Paolo (Luca Marinelli) e Mia (Isabella Ragonese), è in realtà simbolo e specchio di una generazione pericolosamente in bilico. Tra precarietà affettiva e sentimentale, speranze e disillusioni, il sentirsi ancora figli e la paura di diventare genitori. E’ un ‘buco nero’ esistenziale che li risucchia e avvicina, portandoli in giro per l’Italia. Dal Nord alla Calabria, è un viaggio all’interno di sè stessi. Come unico bagaglio, un retaggio delle proprie esistenze. Un furgone diventa cosi microcosmo, veicolo di un destino che porterà i protagonisti a incontrare il proprio futuro. Facendosi scegliere, piuttosto che scegliendolo.

E’ una sfida di bravura tra l’attore di ‘Lo chiamavano Jeeg Robot’ (che con ‘Il Padre d’Italia’ inverte la rotta dimostrando di avere una gamma di interpretazione stupefacente) e Isabella Ragonese, perfetta in ruolo difficile e complicato. Il lavoro di Fabio Mollo (regista e sceneggiatore assieme a Josella Porto) è di sottrazione, essenziale e profondo. Se i corpi nudi ‘parlanti’ sembrano rimandare a ‘The Dreamers’ di Bertolucci, l’evocativa colonna sonora è un tappeto di emozioni in ‘salsa dolaniana’, come dichiarato dallo stesso Mollo, in riferimento all’uso specifico della musica che il regista Xavier Dolan fa nei suoi film.

“Tu per me sei uno di questi sogni”,
sospira Paolo nella sequenza di apertura. La dimensione fantastica è rifugio dalla realtà, un bunker nel quale riporre le proprie speranze. “Per la prima volta avevo visto un futuro”, le parole di Paolo in una delle scene chiave sono una coltellata nell’anima. La conformità al ‘giusto’ l’illusione che lacera, un binario sentimentale che non ammette divergenze. Ma l’amore puro (che sia nei confronti di una persona, di un luogo, di un ricordo) in realtà non prevede un colore prestabilito ma solo sfumature indistinguibili. Superare sè stessi, prima ancora degli altri, portandosi dentro la speranza di un futuro possibile. “Il Padre d’Italia” è un viaggio che termina al centro del cuore.