Musikanten - La musica di Herbert Pagani ed il giorno della memoria

di Enzo Bollani - Oggi è il 27 gennaio e, inevita

di Enzo Bollani – Oggi è il 27 gennaio e, inevitabilmente, la memoria corre su determinati binari. Per fortuna, la maggior parte di noi non conosce i binari che conducevano a quella che sarebbe stata la fine, se non attraverso gite scolastiche o lezioni al limite dell’aneddotico, tipiche di chi insegna giusto per avere uno stipendio a fine mese.

Il punto è che non bastano monumenti e musei, ma è forse in filigrana un senso di fastidio di fronte a quello che la Storia e la follia collettiva ci hanno insegnato. Anzi, alla luce di determinati ritorni e di alcune nuove mode, sembrerebbe quello che è ovvio: non abbiamo imparato.

A proposito di dimenticati, e di quelle pagine di Storia che mai abbastanza hanno raccontato di 6 milioni di ebrei in primis, ma anche omosessuali e altre categorie a caso, parlerei volentieri di Herbert Pagani, tra i pochi a parlare di ciò che è accaduto, se non altro a livello musicale.

Certo, c’è “Auschwitz“, di Francesco Guccini, come esiste anche “Sette Candele“, nascosta nel repertorio di Luca Barbarossa, conosciuta da pochissimi. Ma Herbert Pagani è un caso a parte, perché è un ebreo e perché sono esistiti pochi artisti completi come lui.

Nato a Tripoli nel 1944, da una famiglia di ebrei italiani, nel 1952 quando la Libia decise di espellere gli ebrei (certe cose succedono spesso) si trasferì con la famiglia in Italia, vivendo molto anche in Francia.

Nel 1966 incide il suo terzo 45 giri, “Sai che basta l’amore“, che sul lato B contiene la versione in italiano (con il testo dello stesso Pagani) di “Dona dona“, una canzone della tradizione yiddish scritta nel 1935 da Sholom Secunda con il testo di Aaron Zeitlin, che racconta con la metafora di un capretto portato al macello le vicende del popolo ebraico.

Herbert Pagani però aggiunge una strofa, ossia quella del bambino portato da un treno a morire, che ha evidenti richiami all’Olocausto. Pochi anni prima, Joan Baez aveva ripreso il brano con il testo in inglese scritto dal figlio di Sholom, Sheldon Secunda, fedele all’originale, mentre nel 1966 l’aveva incisa nella stessa versione il grandissimo Donovan, peraltro ispiratore Numero 1 di Lucio Battisti.
La canzone ha avuto versioni in moltissime lingue: in russo, in polacco, persino in coreano e in vietnamita.

In Italia, vergognosamente, è uscita anche una versione con un testo diverso da quello di Pagani, scritto da Luciano Beretta e Flavio Carraresi, che la banalizza trasformandola in una banale canzone d’amore, con un titolo da Sanremo pseudointellettualamoroso: “L’uomo e la donna“.

Succede perché in Italia ci si dimentica, e perché forse la DC non aveva molta voglia di lasciar parlare di determinati argomenti. Motivo per cui, pur non avendo bandiere, la cultura ebraica e soprattutto la Storia hanno trovato rifugio, o un minimo di rispetto, più a sinistra che in altri lidi. Ed è per questo che la Sinistra, ancora oggi, fa vanto di essere padrona della Cultura, amica delle minoranze.

Forse più per tornaconto. Ma non è tempo per i processi alle intenzioni, quanto per tenere presente, e non in un angolo della Memoria, ciò che è accaduto. “Nemmeno troppo tempo” fa, citando un articolo scritto da Lucio Dalla, anche lui ebreo di padre, su Ulisse, nel 1987.

Un capretto

Un capretto su un carretto va al macello del giovedì
non s´è ancora rassegnato a finire proprio così
chiede ad una rondine -Salvami se puoi-
lei lo guarda un attimo fa un bel giro in cielo e poi risponde
-Siete tutti nati apposta io non c´entro credi a me
c´è chi paga in ogni festa
questa volta tocca a te.-

Un bambino su un vagone va al macello del giovedì
non s´è ancora rassegnato a morire proprio così
chiede ad un soldato salvami se puoi
e lui con la mano lo rimette in fila e poi risponde
-Siete in tanti sulla terra io non c´entro credi a me
c´è chi paga in ogni guerra
e questa volta tocca a te.-

Ora dormi caro figlio sta tranquillo che resto qui
non è detto che la storia debba sempre finire così
il mio bel capretto è nato in libertà
finché sono in vita mai nessuno lo toccherà
la storia te l´ho raccontata apposta perché un giorno pure tu
dovrai fare l´impossibile perchè non succeda più.
Siamo madri e siamo figli tutti nati in libertà
ma saremo i responsabili se uno solo pagherà.

Ora dormi.