Le liquirizie calabresi Amarelli protagoniste del palcoscenico internazionale

La radice, il chicco, la polvere: liquirizia pura,

Ristobottega

La radice, il chicco, la polvere: liquirizia pura, gommosa, spezzata, confettata, aromatizzata. Nera, densa, brillante, colorata, dolce-amara. Storico l’impianto e la lavorazione che rimandano ai terreni sabbiosi e argillosi dell’Alto Ionio cosentino, a una piccola contrada di Rossano e a un vecchio “concio” dove da tre secoli si produce la liquirizia, in una zona che fu un distretto industriale: almeno 80 le fabbriche dedite alla lavorazione della pianta (Compagna, Barracco, Martucci) che per l’epoca rappresentavano la gran parte della produzione dolciaria europea.

Oggi l’unica testimone di quella storia antichissima, tutta calabrese, è la Fabbrica di liquirizia Amarelli, che ha sede a Rossano, in una dimora di famiglia piena di fascino, costruita tra il 1400 e il 1600 (rientra nell’ Associazione delle Dimore storiche italiane).

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Una macina a pietra, due caldaie a vapore e una ciminiera ricordano tutti i passaggi e le trasformazioni che la fabbrica ha subito nel tempo. Ma il processo di lavorazione è rimasto quasi lo stesso, seppur adeguato agli standard della modernità. Nessuna strana automazione: «Nel momento clou della lavorazione entra in scena il Mastro liquiriziaio – spiega l’ad Fortunato Amarelli – che da noi è come l’enologo di una cantina, stabilisce il grado di cottura della liquirizia, intervenendo in quella fase delicatissima che potrebbe comprometterne il sapore». È il giovane Pasquale Curia che ha ereditato la sapienza dell’anziano Saverio Caracciolo a governare il processo. Opera con la supervisione del capofabbrica Raffaele Gallina.

«Siamo quasi una cooperativa qui – aggiunge Amarellicon noi lavorano le terze generazioni di molti dipendenti e ci impegniamo tutti per gli stessi obiettivi». Il risultato sono 40 dipendenti e 5 milioni di fatturato che derivano per il 30% dall’ export (25 paesi nel mondo, presto anche Giappone ed Emirati Arabi) e per il 25% dai visitatori del museo che dopo aver visitato gratuitamente la suggestiva esposizione allestita all’interno della struttura (macchinari, attrezzi manuali, stampe, libri, foto, documenti) acquistano le indimenticabili scatolette di latta illustrate piene di confetti e tutti gli altri prodotti della casa. Incrementando i numeri che fanno di Amarelli il brand più rappresentativo della liquirizia in Europa.


Parte del futuro dell’azienda ora è legato al museo intitolato a Giorgio Amarelli (era un “predestinato” alla direzione della fabbrica secondo la famiglia, ma è scomparso prematuramente): è il secondo museo d’impresa più visitato d’Italia, dopo quello della Ferrari a Maranello, con 60mila visitatori l’anno. Il percorso espositivo culmina in un Factory Store i cui spazi sono stati ampliati e riorganizzati con un progetto curato dall’architetto Geo Lanza (retail designer e docente dell’Ied) che ha trasformato il punto vendita in un ambiente immersivo con video, infografiche e suggestioni sensoriali.

Sarà inaugurato il 29 luglio ed è solo il preludio all’apertura di uno shop a Milano e al debutto in ottobre nel grande parco agroalimentare di Fico Eataly World. Attesi 350 invitati, tutto il gotha delle imprese del Sud. Margherita Amarelli, sorella di Fortunato, e responsabile dell’area commerciale – entrambi nipoti di Pina Amarelli, insostituibile ambasciatrice del brand e di una esperienza imprenditoriale unica nel mondo – sta predisponendo ogni particolare: per l’occasione sarà esposto l’abito di liquirizia dello stilista Tiziano Guardini e il velo di Antonio Riva realizzato con le radici della pianta. Menù stellato con i finger food dell’Approdo di Vibo Valentia: abolito lo champagne, si beve birra con mandorle tostate e taralli, alla liquirizia, naturalmente.


Fonte: Il Sole 24 Ore