La storia del giudice che separa i figli dai genitori mafiosi: "Da Reggio Calabria il giusto esempio"

Roberto Di Bella è il presidente del Tribunale pe

Roberto Di Bella è il presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Il suo lavoro è parecchio complicato, tanto da finire sulle pagine del celebre New York Times. Il quotidiano americano racconta la convinzione del giudice che tagliare i legami tra i figli di famiglie mafiose e i genitori possa dare loro maggiori possibilità di avere una vita normale.

Il magistrato, impegnato nella lotta alla mafia, dal settembre 2012 è presidente del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Dalla sua nomina al tribunale dei minori Di Bella ha allontanato dalle rispettive famiglie 40 ragazzi tra i 12 e i 16 anni, un approccio controverso, ma che sembra avere dato i risultati sperati.

Il giudice ha raccontato che in un quarto dei casi le madri sono andate con loro
, nel tentativo di costruirsi una vita nuova, ma nella maggioranza dei casi i bambini sono stati dati in affido ad altre famiglie. La linea d’azione di Di Bella è stata codificata anche a livello nazionale dal ministero della Giustizia, in modo che possa essere applicata anche fuori dalla sua giurisdizione.

“Di recente abbiamo provato a parlare con la giovane moglie di uno ’ndranghetista condannato a lunghe pene, lei stessa in attesa di scontare alcuni anni, e con gli altri familiari tutti o assassinati o già detenuti. Le ho chiesto: ha pensato, quando andrà in carcere, che cosa accadrà ai suoi bambini? Che vogliamo farne, lasciarli in balia di questa vita? Lei non ha detto niente. Ma a distanza di tempo è tornata. Da sola. È scoppiata a piangere, adesso il progetto è partito anche per lei, i suoi due figli sono già presso una famiglia di supporto, lontano dalla Calabria”, ha dichiarato Di Bella ai microfoni del Corriere della Sera.

Sono già una quarantina i minori, e una decina le loro madri o sorelle, che dall’estate 2012 sperimentano la chance di una vita diversa dall’unica conosciuta nelle loro famiglie di ’ndrangheta, grazie ai provvedimenti civili di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale emessi dal
C’è chi ha ripreso la scuola interrotta, chi ha seguito diversi percorsi di integrazione ed educazione. “I provvedimenti sono a tutela dei ragazzi e non contro le famiglie, servono a far sì che siano “liberi di scegliere” il proprio destino affrancandosi dalle orme parentali”, spiega Di Bella.

Perché scegliere di ‘recidere’ un cordone ombelicale
, separare un giovane dalla sua famiglia? La risposta del magistrato è eloquente: “Continuavamo a processare sempre gli stessi cognomi nei minori imputati di omicidi, associazione mafiosa, traffico di droga, estorsioni. Figli di padri al 41 bis che, una volta maggiorenni, presto finivano pure loro al 41 bis e ci trovavano già i fratelli”.

Quale la reazione e le scelte delle mamme, spesso cosi attaccate ai loro figli da non cogliere gli eventuali rischi che corrono? “Alcune indottrinano i figli secondo la cultura mafiosa, ma ce ne sono altre provate dalla sofferenza di lunghe carcerazioni o dalle morti dei familiari. Dopo una prima comprensibile aspra opposizione –racconta Di Bella- molte accettano i programmi educativi e le prescrizioni imposte. Abbiamo madri che hanno iniziato percorsi di collaborazione con la giustizia proprio nei locali del Tribunale per i minorenni, e altre che ci pregano di allontanare i loro ragazzi”.

Reggio Calabria resta un caso isolato, una sorta di esperimento artigianale, che vive molto sull’iniziativa dei singoli e sul volontariato. “Occorrerebbe un appoggio istituzionale in risorse, personale, circuiti educativi e soprattutto sbocchi professionali”, afferma il magistrato. Il pensiero che tutti debbano avere una chance, e nessuno la strada già tracciata, inizia ad arrivare anche da chi è dietro le sbarre. Tra tanta diffidenza, insulti e rabbia, c’è chi capisce: “Grazie dell’opportunità che avete dato ai miei due figli piccoli: l’avessi avuta io alla loro età, forse non sarei finito qui”, ha riferito un detenuto del 41 bis a Di Bella che sospira speranzoso. “E’ uno solo, ma almeno è la prima volta”.