La leggenda di Re Niliu e del monte Tiriolo, un racconto tutto calabrese

Conosciamo la nostra terra, ne conosciamo i profum

Conosciamo la nostra terra, ne conosciamo i profumi, i luoghi, ma non sempre conosciamo i meravigliosi miti e le misteriose leggende che avvolgono la Calabria.

Eccoci dunque ad un altro appuntamento della rubrica #MitiDiCalabria, nata per raccontarvi le più famose leggende che fanno parte della nostra terra.

Oggi vi raccontiamo la leggenda di Re Niliu.

Un mitico Re Niliu, al cui nome riporta una grotta dritta, a cunicolo, che dal centro del crinale si perde nelle viscere del monte Tiriolo, è il protagonista di una leggenda nella quale sono coinvolti una famiglia regale, una fanciulla bella, ma povera, l’ingenuo servo e un gallo.

Niliu, rampollo principesco, s’invaghisce di una giovane popolana, con la quale decide di scappare in nome del loro amore contrastato. I propositi di coronare felicemente il loro sogno, vengono contrastati dalla madre. Sul giovane in fuga pesa infatti la maledizione dei genitori, quella di sciogliersi come cera ai raggi del sole.

Niliu può incontrare la moglie e il figlio, nato dall’unione con la fanciulla, soltanto di notte nel lungo cunicolo naturale che dalla cima del monte arriva fin sul mare, nei pressi della foce del Corace, dove nel frattempo aveva trovato riparo il resto della famiglia. Il giovane viene avvertito del sorgere del sole dal canto del gallo.

La bella storia d’amore tra il principe e la popolana arricchita dal sorriso di un fanciullo rubicondo, va avanti per parecchio tempo, fino a quando le fate decidono che i tempi sono maturi per mischiare le carte in tavola. Una mattina, infatti, il gallo non canta al sorgere dell’alba e così Niliu non può sapere del sopraggiungere del nuovo giorno.

In questa fatidica alba, sorpreso dai raggi del sole, Niliu in preda alla disperazione, chiede al servo fedele di lasciare tutte le sue ricchezze al diavolo, il quale a sua volta, diviso il denaro in tre gruzzoli (d’oro, d’argento e di bronzo) lo nasconde nelle viscere del monte.

La leggenda narra che l’incantesimo si può solo rompere con il ricorso a pratica diabolica.