La caccia all'adorno, una tradizione medievale divenuta leggenda

Conosciamo la nostra terra, ne conosciamo i profum

Conosciamo la nostra terra, ne conosciamo i profumi, i luoghi, ma non sempre conosciamo i meravigliosi miti e le misteriose leggende che avvolgono la Calabria.

Eccoci dunque ad un altro appuntamento della rubrica #MitiDiCalabria, nata per raccontarvi le più famose leggende che fanno parte della nostra terra.

Oggi vi raccontiamo la leggenda della ‘Caccia all’Adorno’.

L’Adorno è una specie di rapace diurno, comunemente conosciuto come falco pecchiaiolo. Adorno è infatti solamente il nome con cui è conosciuto nelle terre calabresi.

Il rapace ha la testa simile a quella di un piccione con piccole piume cornee che gli servono da protezione dai pungiglioni delle vespe quando infila la testa nel loro nido per catturarle, la lunga coda gli permette di manovrare il suo volo, le ali sono piuttosto piatte e gli occhi di un giallo intenso. La morfologia dell’uccello dipende comunque dalla sua età.

L’adorno si nutre principalmente di insetti, vespe in particolare, ma anche di qualche ramarro e rana. Questi uccelli, tra maggio e inizio giugno, migrano verso l’Europa per raggiungere i siti di nidificazione, qui la femmina depone da uno a tre uova che dopo 30 giorni si schiudono, i pulcini vengono nutriti da entrambi i genitori. Dopo circa 40/50 giorni dalla nascita, nel mese di settembre, sono pronti a migrare anche loro, per la prima volta, verso l’Africa.

Ed è proprio in questo periodo che comincia il periodo venatorio. Lo Stretto di Messina, per secoli,  è stato teatro di caccia tradizionale a questi uccelli. Da qualche anno però i falchi pecchiaioli sono protetti da rigide leggi che ne vietano severamente la caccia, ciò però non serve a dimenticare la lunga storia che questi rapaci condividono con la nostra terra.

L’abbattimento dell’Adorno trae infatti origine da secoli antichi quando nella tradizione alto-medievale, l’adorno era considerato animale erotico, simbolo di seduzione.  Da qui, come credenza popolare, si ritiene che la caccia all’adorno sia una sorta di scaramanzia, un potere magico contro l’infedeltà della moglie quindi l’impellente necessità di abbattere almeno un “adorno” ogni anno per poter conservare la propria virilità, la tranquillità della casa e della famiglia.

Testimonianze lontane narrano che quando questi rapaci  facevano la loro comparsa, in primavera, durante la migrazione verso nord per lo svernamento, una vera e propria febbre della caccia all’adorno  colpiva, indistintamente, tutta la popolazione reggina senza risparmiare anziani, donne e bambini, che partecipavano all’attività venatoria.

Un’antica tradizione, tramandata da padre in figlio, in cui ogni primavera, sotto il sole cocente, occultati nei “passi” (postazioni costruite con ogni materiale, dal cemento al legno al ferro o improvvisato con mezzi di fortuna)aspettavano i “ceddi” per scongiurare l’”impotenza” e la “cornificazione”.

La caccia all’adorno era talmente tanto sentita che chi non ci riusciva ad abbatterne almeno uno veniva di conseguenza schernito dal resto della popolazione, era soprannominato “sindaco” e veniva deriso in tutto il paese per un anno intero.